martedì 9 dicembre 2008

E se le relazioni pubbliche fossero una competenza trasversale ?  

In un’azienda esistono varie funzioni: la contabilità, gli acquisti, l’ufficio tecnico (o ricerca e sviluppo se preferite), il commerciale/vendite, la logistica, il marketing, le risorse umane, la finanza, il servizio post-vendita, le relazioni pubbliche (e altre ancora a seconda delle necessità della singola realtà aziendale).

Se il fine delle relazioni pubbliche è creare e mantenere relazioni costruttive con i pubblici di interesse, utilizzando la comunicazione e i suoi strumenti per perseguire gli obiettivi aziendali, allora tutte le funzioni (o uffici, o dipartimenti, ecc.) hanno bisogno di possederne le competenze.

Senza relazioni efficaci un’azienda non può ottenere materie prime (funzione acquisti), creare e vendere prodotti che il pubblico desideri acquistare (marketing, commerciale e vendite), distribuirli (logistica e organizzazione trasporti), fidelizzare i clienti tramite la soluzione di eventuali problemi e la ricerca di soluzioni personalizzate (customer service a assistenza post-vendita), ottenere buone condizioni e finanziamenti dalle banche (amministrazione e finanza). Eccetera.

Per fare ciò occorre avere competenze comunicative: saper parlare e scrivere, sapersi relazionare, utilizzare gli strumenti operativi della tecnologia (e-mail, internet, ecc).
Che sono proprio gli strumenti delle relazioni pubbliche.

Allora, se chi ricopre un’altra funzione ha bisogno di acquisire la capacità di usare questi strumenti e queste competenze, ai relatori pubblici che funzione resterà ? Se le relazioni pubbliche sono una competenza trasversale, che tutti devono possedere, c’è ancora bisogno di qualuno che si dedichi solo e specificamente a quello ?

Quando finalmente tutti saranno capaci di fare quello che fa un relatore pubblico, le relazioni pubbliche vedranno la loro scomparsa come funzione aziendale ?

Il momento più elevato, quello in cui saranno più compiutamente realizzate, perché tutti ne saranno capaci, coinciderà con la loro fine ?

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sabato 29 novembre 2008

Due anni di Officina della Comunicazione  

In questi giorni L’Officina della Comunicazione compie due anni.
Per festeggiare il suo secondo anniversario, ne ho ripercorso le tappe attraverso i post più significativi, suddivisi in categorie:

I più commentati

E’ curioso notare che non sono i post che mi aspettavo fossero più commentati. Come dire, non si sa mai che cosa gli altri trovino più interessante di quello che uno scrive.

La relazione azienda-agenzia di comunicazione, gioie e dolori di un rapporto difficile

Markets are conversations, ma molto spesso inutili

Pane, amore e sanità (ma poca fantasia !)

La costosa inutilità dell’originale a ogni costo

Comunicazione d’emergenza e spauracchi

Comunicazione e mistificazione: quando le parole eludono la realtà


I miei preferiti

Una selezione dei post più interessanti, secondo me.

Bilancio, Basilea 2 e comunicazione d’impresa

Il Conversational Analyst: la risposta ai problemi tra azienda e agenzia di comunicazione ?

La comunicazione come strumento di gestione del cliente interno

Markets are conversations, ma non da Bar Sport

Immagine e reputazione aziendale, tra corrispondenze e discrepanze

Intangibile ? Mica tanto.


Sulla nostra professione

Tentando di spiegare chi è e che cosa fa chi si occupa di relazioni pubbliche e comunicazione.

Che cosa sono o non sono le pubbliche relazioni

I comunicatori: artisti o artigiani ?

Public relations, actually, not marketing

Chi difende la reputazione di chi difende la reputazione altrui ?

Il relatore pubblico: non solo artigiano, un po' avvocato difensore, un po' diplomatico

Relazioni pubbliche e diplomazia: strumenti di democrazia

Le relazioni pubbliche come elemento di coesione sociale


Sulla pubblicità

Quelle che non mi sono proprio piaciute.

Ragni giganti e modelle

La libertà è uno stato mentale

Gli ultimi saranno i primi, ma Oliviero Toscani non centra l'obiettivo

Sono cattiva


I consigli pratici

E, per chiudere, ecco una carrellata di suggerimenti che, spero, potranno esservi utili.

Come fare comunicazione in un PMI (senza rimetterci l'osso del collo)

Affrontare le voci di corridoio in azienda: la comunicazione interna e le situazioni di crisi

Come scrivere un comunicato stampa e farsi pubblicare

The Day After: miniguida d'emergenza per gestire il dopo citazione sui media

Un ruolo strategico in azienda ? Si ottiene così

PMI: combattere la recessione con la comunicazione, in 10 mosse (2)



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PMI: combattere la recessione con la comunicazione, in 10 mosse (2)  

La crisi economica imperversa, mentre gli esperti, come lugubri cornacchie del malaugurio, si premurano di farci sapere che andrà avanti ancora per tutto il 2009.

Quali sono allora le azioni di comunicazione più adatte per un’azienda che voglia far fronte alla recessione ? ovviamente quelle che non costano troppo e massimizzano l’esposizione aziendale.

1) rileggete tutti i testi del vostro sito internet e aggiornateli. Da quando l’avete messo online avrete sicuramente modificato le caratteristiche di qualche prodotto, oppure conseguito una nuova certificazione, deciso di partecipare a una nuova fiera di settore, conquistato nuovi mercati. Tutto quanto di nuovo e di diverso è successo nel frattempo, all’azienda o ai prodotti, deve trovare posto nel sito. Eliminate le informazioni ormai vecchie.

2) Controllate le schede prodotti, le presentazioni aziendali, il materiale istituzionale in generale e aggiornate il tutto. Quando tornerete di nuovo a vendere vi farà comodo avere questo materiale già bell’e pronto.

3) Rivedete tutti i depliant e il resto del materiale promozionale cartaceo, controllate che le informazioni riportate siano corrette e aggiornate. Comportatevi come se doveste ristamparlo di nuovo. Quando i depliant saranno davvero esauriti e dovrete mandarli in ristampa velocemente molto probabilmente non avrete tempo di rivederli: fatelo ora.

4) Scrivete un comunicato stampa spiegando come la vostra azienda sta reagendo alla crisi: se tutti riducono il personale e voi non lo fate mettetelo in evidenza, se il vostro fatturato è recentemente aumentato nonostante il calo generalizzato delle vendite fatelo sapere. Siete in controtendenza, e quindi fate notizia, quasi sicuramente sarete pubblicati.

5) Se anche voi, com’è probabile, risentite della crisi, non piangetevi addosso ma sottolineate i punti di forza della vostra azienda. Dite che pensate di resistere e spiegate su che cosa puntate. Darete una ben diversa impressione rispetto a quelle realtà che piangono miseria invocando aiuti dal cielo.

6) Controllate periodicamente quello che si dice della vostra azienda in internet. Il monitoraggio della rete è una attività importante ma richiede molto tempo e quindi di solito lo si trascura. Bene, questo è il momento per iniziare quella che dovrà diventare una buona abitudine da mantenere anche nei momenti in cui c’è più lavoro.

7) Curate a fondo le relazioni: intensificate la partecipazione alle associazioni di categoria, ai gruppi di interesse, fate lobby con altri imprenditori. L’unione fa la forza, se potete ottenere qualche facilitazione (tagli alle imposte, migliori quotazioni sui trasporti, tariffe agevolate per i consumi energetici, o qualsiasi altra cosa vi potrebbe fare comodo) è più facile ottenerla se siete in tanti a chiederla. Vietato isolarsi, pensando di salvarsi da soli mentre gli altri annegano.

8) Studiate comunicazione. Leggete più che potete sull’argomento, può darsi che adesso non vi serva, ma appena tornerete a lavorare molto vedrete quante cose riuscirete a mettere in pratica.

9) Aprite un blog per raccontare che cosa fa la vostra azienda in tempi di crisi, raccontate di come lavorate, le vostre difficoltà, mostrate il volto umano.

10) Mantenete sempre un atteggiamento aperto e trasparente. Inutile e controproducente sostenere che le cose vanno bene se sapete già che a breve dovrete prendere misure drastiche nei confronti del personale (cassa integrazione, mobilità, ecc). I giornali pubblicheranno la notizia e non farete bella figura. Se qualcosa di spiacevole accade comunicatelo voi per primi (tanto si verrà a sapere), ma contestualmente proponete delle soluzioni, fate sapere che state lavorando per cercare dei rimedi.

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venerdì 28 novembre 2008

PMI: combattere la recessione con la comunicazione (1)  

La proposta può sembrare provocatoria o da illusi, infatti ci vuol ben altro per sconfiggere una crisi che ha ragioni lontane, non nasce in Europa, né in Italia, non dipende dalle PMI, non riguarda un’azienda soltanto. Se poi è vero, come pare, che questo è il peggior momento per l’economia dal 1929, è altrettanto chiaro che le soluzioni non possono essere né semplici, né veloci.

Com'è ben noto, per i cinesi la parola crisi è composta da due ideogrammi, uno dei quali significa pericolo e l’altro opportunità. Perché non sfruttare di questo momento per fare quello che molti non fanno – a loro discapito – nei momenti in cui gli affari vanno a gonfie vele ?
C’è meno lavoro ? Approfittiamo allora per dedicarci a quello che, quando c’è tanto da fare, si ha la scusa per trascurare: prendiamo in mano la comunicazione della nostra azienda, a lungo trascurata per correre dietro alle urgenze e alle emergenze che sorgono nei momenti in cui si è più indaffarati.

Quando i soldi sono pochi, a maggior ragione bisogna saperli investire bene per non sprecarli. La tentazione di tagliare le spese che si ritengono superflue è forte, ma va combattuta a tutti i costi convincendosi che la comunicazione è un investimento e non un costo.

Quando ci sarà la ripresa chi si sarà fatto trovare pronto anche a livello di immagine avrà un notevole vantaggio competitivo rispetto a chi si è tenuto nascosto (non sentendone più parlare, di qualcuno si penserà che durante la recessione ha chiuso i battenti).

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mercoledì 26 novembre 2008

Le relazioni pubbliche come elemento di coesione sociale  


Un’azienda può essere un corpo estraneo all’interno di una comunità, come un organo trapiantato che scatena in un organismo una crisi di rigetto. Può scatenare ostilità per i fumi che escono dalle sue ciminiere appestando l’aria, per gli scarichi che inquinano l’acqua che la gente del posto beve, perché assume i giovani locali con contratti capestro e li fa lavorare non in condizioni di sicurezza, perché ha chiuso una linea di produzione mettendo in mobilità i padri di famiglia.

Oppure può essere considerata come una fonte di ricchezza per il territorio, un bene di tutti, una risorsa da sostenere e da difendere.

Che cosa fa la differenza ? Il modo di rapportarsi con la comunità, le relazioni che si instaurano con i vari interlocutori presenti sul territorio. Ma devono essere oneste, trasparenti, sincere, perché se no la gente se ne accorge. Devono essere strategiche, andare a incidere là dove si prendono le decisioni, che dovranno essere improntate alla ricerca del bene comune.

Se le relazioni pubbliche si preoccupano di conciliare realmente gli interessi dell’azienda con quelli della comunità diventano nientemento che un elemento di progresso sociale, un modo per combattere l’impoverirsi e lo sfilacciarsi dei rapporti umani. Come lo chiamate altrimenti l’installare un asilo nido aziendale che oltre che i figli delle dipendenti accolga anche un certo numero di bambini di famiglie del territorio, permettendo ad altre madri di lavorare ? Oppure l’offerta di stage formativi a studenti dell’ultimo anno delle superiori, o dell’università, la possibilità di effettuare tirocini per imparare il lavoro ed essere assunti dall’azienda stessa, che riserva un certo numero di posti di lavoro ai “figli” del territorio ? Come definire allora la destinazione di una parte degli utili alla ricerca tecnologica, che diventi nel contempo elemento di arricchimento economico per l’azienda e di progresso tecnologico per la comunità ?

Uno scambio continuo di energie, a vantaggio di tutti i soggetti coinvolti, per un miglioramento della società, dal punto di vista umano prima ancora che economico.
Ma richiede un continuo lavoro di studio delle esigenze territoriali e di ricerca e individuazione delle risposte e delle soluzioni. Un lungo lavoro di tessitura di rapporti. E’ il compito delle relazioni pubbliche, solo loro sono veramente in grado di farlo.

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martedì 25 novembre 2008

Il marketing è una funzione delle errepì  

A differenza del marketing, le relazioni pubbliche hanno alle spalle una storia millenaria ma si sono sviluppate nella disciplina che oggi conosciamo più tardi. Rispetto al marketing hanno anche avuto una diversa accoglienza a livello aziendale.
Innestandosi sulla preesistente funzione vendite in maniera naturale, il marketing ha trovato la strada spianata per sviluppare in modo organizzato, coerente, più ampio, ragionato, quello che già le vendite facevano. Partendo da questo terreno fertile è arrivato ad avere una funzione preponderante sulle vendite, tanto che ormai la possibilità di vendere un prodotto dipende strettamente da quello che il marketing riesce a escogitare. In tante aziende si è fagocitato anche le relazioni pubbliche, relegate a fare comunicazione di prodotto. Qui il responsabile errepì è in staff al direttore marketing e svolge un ruolo meramente operativo: organizza fiere, redige i testi per i cataloghi, scrive comunicati stampa per lanci di prodotti, tutto quanto serve a supportare le azioni di marketing e a vendere di più.
Ma le relazioni pubbliche hanno un campo d’azione più ampio, che va oltre il prodotto da vendere. Il loro orizzonte comprende tutta l’azienda. Hanno infatti il compito di promuovere l’azienda nel suo intero. Dalla reputazione dell’amministratore delegato alla fiera di settore, dalla conferenza stampa per l’entrata di un nuovo azionista alla redazione del catalogo, dalla progettazione del sito all’interagire con la comunità locale, alle azioni di lobby per ottenere finanziamenti alle imprese che praticano una politica più “verde” e si potrebbe continuare all’infinito. La comunicazione di prodotto è solo una parte di tutto questo.
Quindi, se proprio vogliamo parlare in termini di sudditanza, è il marketing che deve inserirsi come la tessera di un puzzle all’interno del più grande disegno organizzato dalle relazioni pubbliche. E’ il marketing che diventa una parte delle relazioni pubbliche, al cui servizio deve mettersi, e non il contrario.


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lunedì 10 novembre 2008

Immagine e reputazione aziendale, tra corrispondenze e discrepanze (2)  


Immagine e reputazione, di cui ho parlato anche in precedenza, non sono necessariamente due concetti in contrasto. L’uno si nutre dell’altro: l’immagine di un’azienda è largamente – anche se non solo - prodotta dalla sua reputazione. Una buona reputazione sostiene un’immagine un po’ sbiadita (perché non sufficientemente curata), mentre una brillante campagna pubblicitaria intesa a ravvivare l’immagine avrà successo fino a un certo punto se la reputazione è mediocre o non buona. Se la reputazione è pessima può rivelarsi controproducente.

Ho provato a schematizzare le differenze tra i due concetti, raffigurando a linee generali la situazione di un’azienda in cui la cura dell’immagine è portata avanti in maniera slegata dalla reputazione (Immagine) e quella di un’organizzazione in cui si lavora sull’immagine e sulla reputazione (Reputazione).

Orizzonte temporale

Immagine: è creata nel presente ed è effimera, il suo successo va poco oltre la durata di una operazione di make up. Richiede pertanto un rinnovamento continuo con successivi interventi.
Reputazione: proviene dal passato, si sedimenta nel corso degli anni e dura a lungo.

Agisce su

Immagine: esteriorità.
Reputazione: comportamenti.

Prodotta da:

Immagine: può essere creata artificialmente da una campagna pubblicitaria sapientemente costruita anche da una agenzia esterna.
Reputazione: si crea nel tempo ed è alimentata da una serie di comportamenti ripetuti da parte di tutti i componenti dell’azienda.

I dipendenti

Immagine: non sono coinvolti.
Reputazione: sono responsabilizzati e motivati ad attuare determinati comportamenti.

Importanza attribuita alla funzione Comunicazione

Immagine: secondaria.
Reputazione: primaria.

Ruolo del comunicatore

Immagine: operativo: produce comunicazione sulla base delle decisioni altrui.
Reputazione: strategico: stabilisce il come, dove, quando, a chi e soprattutto il perché della comunicazione. Non necessariamente la realizza in prima persona.

Il comunicatore risponde a

Immagine: direttore marketing, direttore commerciale, talvolta anche direttore finanziario, responsabile risorse umane.
Reputazione: amministratore delegato, coalizione dominante.

Strumenti utilizzati di preferenza

Immagine: pubblicità.
Reputazione: relazioni pubbliche e CSR.

Internet

Immagine: sito brochure.
Reputazione: sito interattivo, web 2.0.

Modello di Grunig applicato

Immagine: 1° modello: press agentry e publicity.
Reputazione: 4° modello: il feed back dell’interlocutore è sempre richiesto e tenuto in considerazione nella fase decisionale.

Etica

Immagine: l’immagine serve anche a coprire comportamenti non tanto etici.
Reputazione: l’etica è considerata uno dei fondamenti dell’agire dell'impresa.

Grado di trasparenza

Immagine: scarso, dato che l’immagine serve anche a coprire i comportamenti non accettabili.
Reputazione: c’è un buon grado di apertura verso gli interlocutori esterni, non si ha paura di rivelare i propri comportamenti perché questi sono etici.


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mercoledì 15 ottobre 2008

Reputazione e immagine dell’azienda e dell’AD  

Tra i compiti del relatore pubblico c’è quello di curare al meglio, oltre all’immagine dell’azienda, anche l’immagine dell’amministratore delegato o titolare dell’azienda, se questa è di tipo padronale.

L’AD è la faccia pubblica dell’azienda, è strettamente associato con l’immagine e la reputazione corporate e le influenza, anche se le due non sono completamente sovrapponibili. Ritengo appropriato, in questo caso, utilizzare il termine reputazione con riferimento all’azienda, in quanto si parla di un insieme di caratteristiche e valori sedimentati nell’immaginario pubblico nel corso degli anni.
Mentre nel caso dell’ad invece preferirei immagine, in quanto frutto di un lavoro di sapiente costruzione effettuato a tavolino e sul più breve termine.

In questo non facile compito il relatore pubblico è chiamato a dare il meglio di sé, sfruttando al massimo le proprie doti relazionali a livello personale, per poter conquistare la fiducia dell’ad e diventare il suo consigliere.

L’immagine dell’amministratore delegato va costruita su quella dell’azienda, allineandola alla vision, alla mission e ai valori corporate, sottolineando come l’ad intenda farsi garante di continuità con chi l’ha preceduto. Diversamente, se l’arrivo di un certo amministratore delegato dovesse segnare una svolta nel modo di porsi dell’azienda, diventa più che mai necessario comunicare il cambiamento, così da lavorare parallelamente sull’immagine dell’ad e su quella corporate, ritoccando opportunamente quest’ultima.

Se al posto dell’amministratore delegato troviamo il titolare di una azienda padronale, le problematiche sono un po’ diverse. Nel caso di realtà familiari l’immagine della famiglia spesso si sovrappone completamente o quasi a quella dell’azienda. Questa è una creatura della famiglia, è stata tramandata di padre in figlio, è impregnata dei valori, delle idee e della mentalità della famiglia, e in essi ha le sue profonde radici.

Lavorare sull’immagine di un’azienda familiare significa immergersi in questa cultura, acquisirne un’adeguata comprensione e aiutarla a esprimersi al meglio in relazione ai suoi obiettivi e ai prodotti/servizi che offre.

Le difficoltà maggiori provengono di solito dalle resistenze ai cambiamenti, nel timore di imboccare strade che allontanino da quella che finora è stata una tradizione di successo. Non è però necessario operare svolte radicali, essendo in molti casi sufficiente svecchiare determinati aspetti, senza compiere rivoluzioni con le quali la proprietà non si troverebbe a suo agio.

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martedì 14 ottobre 2008

L’azienda ? Un oggetto misterioso (2)  


Le peripezie dello studente di cui ho parlato nel precedente post, lungi dall’essere uniche, costituiscono una situazione piuttosto comune, quando si ricercano informazioni su una azienda, anche non piccolissima.
Ci sono aziende aperte, alcune proprio in senso letterale, con l’organizzazione di open day per i familiari dei dipendenti e talvolta per il pubblico in generale. All’opposto ci sono realtà che, per il modo di presentarsi, appaiano agli occhi dell’osservatore esterno come degli oggetti misteriosi, delle roccaforti inespugnabili.
Bisogna tenere conto che l’azienda non è un microcosmo isolato da tutto il resto, ma un insieme di attività che interagiscono con quelle esterne. Non lasciate che si intuisca la presenza umana all’interno delle vostre mura aziendali solo per il fatto che ci sono delle auto nel parcheggio !
Nell’ottica di una necessità di intessere relazioni con la comunità locale (cittadini, enti, gruppi di interesse, ecc.) è necessario prima di tutto che gli interlocutori si presentino, proprio come ci si presenta quando si incontra qualcuno per la prima volta. Diversamente sarebbe un po’ come parlare con un incappucciato di cui non si percepisce il volto.
Si comincia dalle basi. Il numero di fax deve essere riportato ovunque compaia il numero di telefono (a meno di non voler costringere la gente a telefonare per chiedere “mi dà il suo numero di fax ?") e possibilmente dovrebbe essere diverso da quello del telefono (una dozzina di anni fa, quando la comunicazione passava al 99 % dal fax, un manager che conoscevo soppesava la portata di un primo contatto dal fatto che il numero di fax riportato sulla carta intestata fosse diverso o meno da quello del telefono. Va da sé che chi aveva un numero uguale, cioè una linea sola, riceveva minore considerazione).
L’e-mail. Dato per scontato che ormai ci vuole, le caselle gratuite sui motori di ricerca è meglio lasciarle ai privati. A meno di non voler sembrare dei dilettanti. Un’azienda deve registrare un dominio (che diventerà poi il nome del sito, quindi attenzione) e farsi configurare almeno una casella postale con quel dominio. Normalmente è info@nomeazienda.it (oppure .com, .net, .biz, eccetera. Ci sono varie teorie su quale sia il suffisso migliore, ma per il momento non ci formalizzeremo). Il sito. Spesso è l’unica immagine dell’azienda che molti possono avere. L’Url va inserito su tutta la documentazione aziendale.
Le pagine gialle, pagine utili, guide e directory di aziende, i portali di comparto, sono tutti luoghi virtuali in cui bisogna essere presenti, perché chi cerca informazioni su un’azienda spesso comincia da lì. Riassumendo: indirizzo completo, telefono, fax, e-mail e sito internet. E’ il minimo. Sembra superfluo ripeterlo nel 2008 ? Direi di no, risponderebbe lo studente di mia conoscenza.

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martedì 7 ottobre 2008

L’azienda ? Un oggetto misterioso (1)  

Capita che uno studente universitario, o di master, o di dottorato, decida di fare una tesina su una azienda - o gruppo di aziende affini per produzione - della propria provincia. Realtà di un certo peso – altrimenti perché sceglierle: deve raccogliere sufficiente materiale per il suo elaborato e, soprattutto, deve essere materiale di interesse.
Va da sé che cominci la ricerca da internet, visitando il sito dell’azienda. Ed ecco la prima sorpresa: il sito non c’è, o meglio c’è una mezza schermata nelle Pagine Utili o nelle Europages. Sono riportati il numero di telefono, il numero di fax, la mappa con le indicazioni di come arrivare, la foto aerea (!). Non compaiono né e-mail nè sito (si intuisce che il sito è già quello). Lo studente, che vive al computer, conosce le ultime applicazioni, i social media, tiene un blog, partecipa ai forum, eccetera eccetera, alza gli occhi al cielo. Ma non si arrende. Digita il nome dell’azienda su Google ed ecco che qualche cosa viene fuori. Alcuni portali di settore ne riportano il nome. Fiducioso clicca sul primo link e entra nella pagina: ragione sociale, telefono, fax. La fantomatica e-mail non compare ancora. Ok, vediamo gli altri link. Ecco un altro portale di settore: stessa storia. Ecco un pdf, magari contiene informazioni importanti, che so, il nome del direttore commerciale (proprio la persona a cui pensava di chiedere le informazioni), o una intervista all’amministratore delegato. Speranzoso apre il file e trova una comunicazione sullo smaltimento rifiuti che l’azienda ha inviato al Comune quattro anni fa.
Ormai alla frutta, lo studente pensa di correre in biblioteca, farsi consegnare tutti i quotidiani con la pagina locale dell’ultimo anno e spulciarli per trovare un mezzo articolo, qualche cosa almeno che gli dia le informazioni di base prima di telefonare e chiedere del direttore commerciale senza neanche conoscerne il nome. Poi lascia perdere perché ci vorrebbe troppo tempo, e non è neanche detto che trovi quello che cerca, a questo punto un minimo di dubbio è legittimo.
Preso dalla disperazione compone direttamente il numero di telefono che ha trovato sulle pagine utili. Rossi Polimeri (nome di fantasia) buongiorno ! Buongiorno sono il tale, studente del secondo anno del master in relazioni industriali e sto facendo una tesina sulla vostra azienda. Vorrei rivolgere alcune domande al vostro direttore commerciale – a proposito come si chiama. Il direttore è fuori sede (il nome non viene fornito). Mi può lasciare il suo indirizzo e-mail personale – dice allora lo studente – così posso provare a contattarlo quando rientra. Non ha un indirizzo personale, le dò la mail dell’azienda, tanto le vede lui: rossipolimeri@yahoo.it. Già che c'è osa: Avete anche un sito ? No, per ora abbiamo registrato solo il dominio. Ricevuto il colpo di grazia lo studente riattacca. Mentalmente ha già archiviato l’azienda e sta pensando alla prossima da contattare.

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giovedì 25 settembre 2008

Talk the walk o walk the talk. Quale coerenza tra comunicazione e comportamenti.  

In un’interessante riflessione di Fabio Ventoruzzo pubblicata ieri sul sito della Ferpi l’autore distingue tra le due espressioni americane talk-the-walk e il suo contrario, walk-the-talk.

Con la prima – spiega Ventoruzzo – si definisce lo sforzo di un’organizzazione per cercare di uniformare i propri comportamenti alla propria comunicazione: prima si dice che cosa si farà e poi lo si fa, o si cerca di farlo. La seconda significa invece dire quello che si fa, comunicare i propri comportamenti effettivi.

Secondo Ventoruzzo l’approccio ideale deve tener conto di entrambe ma – nel nostro mondo professionale reale – la strada da seguire è piuttosto la seconda anche se, ammette, agendo in tal modo un relatore pubblico dovrà truccare un po’ la verità per nascondere le magagne dell’organizzazione che rappresenta.

Premetto che non mi interessa entrare nel dibattito politico (l’articolo di Gian Antonio Stella del CorSera, che Ventoruzzo riprende e commenta, ha un taglio politico), mentre intendo affrontare il discorso dal punto di vista della comunicazione in azienda.

A mio parere, l’approccio talk-the-walk, che dei due preferisco, non si sostanzia, come sostiene Ventoruzzo, nel raccontare qualcosa prima ancora di averlo fatto e poi fare i salti mortali per farlo, spesso senza riuscirci. Consiste invece nel continuo sforzo da parte dell’azienda per cercare di rendere coerenti i propri comportamenti con quella che è l’identità che ci si vuole dare, e quindi con l’immagine che si riflette esternamente e che rappresenta questa identità.

Mi pare che tale approcciio sia alla base di quello che da tutti gli esperti più illuminati in materia è considerato il compito più alto del relatore pubblico: quello cioè, dopo aver ascoltato le istanze degli stakeholder, di rappresentarle presso la coalizione dominante per integrarle il più possibile nelle politiche aziendali.

Chiaro che non si tratta di porsi degli obiettivi irraggiungibili e non sostenibili da parte dell’azienda, - sarebbe folle - bensì di identificare quello che è concretamente fattibile e inserirlo in una attenta e dettagliata programmazione, da mettere in pratica passo dopo passo.

Più rischioso dell’altro, perché alle dichiarazioni di intenti devono seguire i risultati, l’approccio talk-the-walk è innovatore: non si accontenta di comunicare lo status quo, ma si impegna per migliorarlo, è capace di pensare in grande e sul lungo termine, immaginando scenari non ancora presenti. Ma per essere efficace richiede anche molta concretezza (leggi programmazione strategica e poi tattica).

Dei due, è quello che meglio corrisponde al quarto modello di Grunig, e l’unico che consente al relatore pubblico di avere un ruolo strategico. Il walk-the-talk mi sembra tanto press agentry, si caratterizza per una certa miopia di vedute, non è interessato al cambiamento (comunica le cose come stanno), richiede molto meno coraggio e relega il comunicatore in un ruolo esecutivo.

sabato 20 settembre 2008

Relazioni pubbliche e diplomazia, strumenti di democrazia  

Capacità negoziali, chiarezza comunicativa, disposizione all’ascolto e alla conciliazione di esigenze diverse, abilità a trovare soddisfacenti soluzioni di compromesso, facilità di adattamento a culture diverse, ampia visione generale e capacità di pensare in grande.

Sono le qualità che deve avere un diplomatico ? Sì, ma anche le stesse che deve possedere un relatore pubblico. Compito del primo assicurare relazioni pacifiche tra una nazione e l’altra, del secondo promuovere relazioni proficue tra l’organizzazione per cui lavora e i suoi pubblici.

Obiettivo del relatore pubblico è legittimare la presenza dell’azienda su un territorio, all’interno di una comunità, e di creare con essi un rapporto basato sulla correttezza. Il pubblico richiede che l’azienda non inquini (comunità locale), garantisca la sicurezza del posto di lavoro (dipendenti e loro famiglie), non delocalizzi (ancora i dipendenti), non fallisca (investitori), metta sul mercato prodotti validi a prezzi adeguati (clienti) e rispetti le leggi (istituzioni).

Dal canto suo l’azienda vuole crescere, espandersi (anche fisicamente), fare profitti, diventare leader di mercato, far valere le proprie richieste presso le amministrazioni locali e le istituzioni.

Esigenze che talvolta non si incontrano, coincidono solo in parte o addirittura collidono, proprio come quelle di due stati esteri che non si accordano sui confini o su chi si deve accogliere una particolare etnia o avere il controllo di un territorio.

Per conciliarle, ricomporre le eventuali fratture, inventarsi soluzioni per accomodare esigenze contrastanti è necessario un lavoro paziente e costante. C'è da tenere i contatti, far crescere la relazione e soprattutto dialogare e discutere fino a trovare un terreno comune d’intesa.

Si chiama rispetto dei diritti altrui, convivenza civile, democrazia. E il relatore pubblico ne è uno strumento chiave, proprio come un ministro degli esteri o un ambasciatore.

martedì 29 luglio 2008

Intangibile ? Mica tanto.  



Un’azienda che ha sempre lavorato nell’import e nell’export, e che ogni anno movimenta un buon numero di container, ha costruito nel tempo un'ottima relazione con il responsabile commerciale di uno spedizioniere.

Questa persona garantisce non solo quotazioni concorrenziali, ma anche cortesia, disponibilità, capacità di trovare valide soluzioni alternative nelle emergenze, prontezza ad accorrere in soccorso per risolvere difficoltà dell’ultimo momento e altro ancora.

Nel momento in cui l’azienda decide di intensificare le importazioni di materiale dall’estremo oriente, al responsabile commerciale dello spedizioniere viene richiesto di migliorare ulteriormente l’offerta, in considerazione del previsto, consistente, aumento di traffico. Questi ci prova, ma non riesce a scendere al di sotto di una certa soglia. Al di sotto della quale si posiziona invece un suo concorrente, con il quale in passato si era lavorato sporadicamente. Ma che in virtù della migliore offerta è preferito.

Con i primi container arrivano anche le prime, normali, grane da risolvere e la società di spedizioni non è sempre prontissima a farsene carico. Talvolta, anzi, traspare anche un po’ di irritazione nell’accogliere le richieste, un po’ come dire, con questi prezzi che cosa volete ancora...

Si ritorna a lavorare con il primo spedizioniere, che con cortesia, competenza, prontezza e disponibilità accorre in soccorso. Tutti asset, questi, che valgono senz’altro quei soldini in più che l’azienda in un primo momento non aveva ritenuto di pagare.

Per favore, non chiamateli più valori intangibili.

giovedì 3 luglio 2008

Il relatore pubblico: non solo artigiano, un po’ avvocato difensore, un po’ diplomatico  

Un po’ di tempo fa ho affermato che il relatore pubblico necessita delle qualità dell’artigiano per fare bene il suo lavoro: pazienza e impegno continuato, cura dei dettagli.

Ma non sono sufficienti. Un buon relatore pubblico necessita anche delle migliori capacità di un avvocato difensore, soprattutto nei momenti di crisi. Quando l’azienda è in difetto, magari anche grave, c’è bisogno di qualcuno che la difenda appassionatamente, che costruisca una tesi in grado di scagionarla il più possibile, che patteggi, eventualmente, con la società, se alla fine risulta colpevole.

C’è inoltre bisogno delle qualità di un fine diplomatico, abile nell’intessere proficue relazioni anche con interlocutori difficili, e nello stringere accordi che permettano di portare l’acqua al mulino dell’azienda, bravo con le parole, ma soprattutto capace di intervenire con i fatti, per modellare la realtà e renderla più confacente a quelle che sono le aspettative dei pubblici curando nel contempo gli interessi aziendali.

sabato 28 giugno 2008

Marketing non convenzionale  

Genova, mercatino popolare di Dinegro, una mattina di questa settimana.

Un banco di scarpe espone un cartello con queste parole: "Per la rumenta e le cineserie rivolgersi più avanti". Purtroppo non ho una foto a documentare quello che ho visto, in quanto sprovvista di cellulare con macchina fotografica incorporata.

Per i non genovesi e per chi necessitasse di traduzione: la rumenta è quella che per i napoletani è la monnezza.

La scritta che sul momento mi ha fatto sorridere rappresenta un bell'esempio di marketing non convenzionale. Nel linguaggio chiaro e fuori dai denti tipico dei genovesi si afferma la qualità del propri prodotti e del made in italy.

mercoledì 25 giugno 2008

Vodafone, ti frego e te lo dico 

Un’altra azienda che mostra una certa discrepanza tra l’imponente comunicazione messa in campo e il servizio offerto, dopo Trenitalia e i politici italiani di cui avevo scritto qualche giorno fa, è la Vodafone.

Non è il caso qui di ricordare e commentare le campagne pubblicitarie con l’uso di famosissimi e costosissimi testimonial, che tutti ricordano e hanno tuttora sotto gli occhi, in particolare adesso che con l’estate pare che i polli da spennare aumentino.

L’ultima è stata la “promozione” Infinity, per cui si potevano inviare gratuitamente un certo numero di sms ad altri numeri Vodafone. Dapprima gratuita, la promozione è stata rinnovata automaticamente al costo di 2 euro e, grazie al cielo, finirà (salvo sorprese dell’ultimo momento), il 18 luglio. Quindi i danni per i malcapitati dovrebbero essere limitati.

Non così i profitti per la Vodafone, in quanto 2 euro moltiplicati per il numero delle “vittime” verranno a costituire una grossa cifra.

E’ vero che il servizio Infinity, scaduto il termine della promozione gratuita, poteva essere disdetto, infatti il cliente veniva avvertito dalla Vodafone con ben due sms per ricordargli che poteva farlo, ma nella pratica le cose non sono andate proprio così.

Infatti, chi avesse chiamato il 42100 per terminare il servizio, si sentiva rispondere da una voce registrata che “lei ha già provveduto a disdire la promozione Infinity”. Dopo una prima iniziale sorpresa, visto che ci si ricordava benissimo di non aver ancora telefonato, si pensava che il messaggio si potesse riferire al fatto che forse era sufficiente chiamare il 42100 per dare automaticamente disdetta.

Dopo qualche giorno invece ecco arrivare l’sms della Vodafone con cui si comunicava il rinnovo della promozione fino al 18 luglio, al costo di 2 euro. Evidentemente la promozione non era stata affatto disdetta. Che cosa pensare ? L'uomo della strada direbbe "invece che fare tutte quelle scene con Totti e Ilary, farebbero meglio a dare un servizio migliore".

lunedì 23 giugno 2008

Crowdspring, un servizio per le PMI  

L’ultima frontiera del Web 2.0 si chiama Crowdspring, la community nata in America, che permette di scambiare, tra chi li produce e chi è interessato ad acquistarli, lavori di grafica e di design.

Tu hai bisogno di un logo, per esempio, posti una richiesta in Crowdspring, io ti propongo i miei servizi a un certo prezzo. Se siamo in tanti a risponderti puoi anche scegliere tra varie proposte.

Una piazza virtuale frequentata da aziende e privati, insomma, un luogo di incontro della domanda e dell’offerta.

Quale può essere l’utilità per la comunicazione d’impresa ? Sicuramente notevole per le PMI che non dispongono di un grafico di fiducia. A prezzi contenuti e in tempi piuttosto brevi possono infatti farsi realizzare lavori di grafica come loghi, depliant, e altro.

Se si ha la fortuna di imbattersi in qualcuno particolarmente bravo, volendo si possono impostare anche collaborazioni per lavori più impegnativi, come la realizzazione della grafica di interi cataloghi o di campagne pubblicitarie.

L’importante è delimitare bene quelle che devono essere le competenze del grafico di turno, evitando di delegargli la gestione della comunicazione dell’azienda, che deve rimanere saldamente nelle mani dei responsabili.

mercoledì 18 giugno 2008

Riscontri  


Il blog IDEE Flessibili Precarie suddivide tra idee flessibili e idee precarie.

Cito testualmente:

L'IDEA FLESSIBILE appartiene a una Mente:

• dinamica
• in movimento
• disponilibilie e dotata di spirito di sacrificio
• orientata al lavoro per obiettivi
• predisposta a considerare il proprio stipendio in funzione degli obiettivi da raggiungere
• vogliosa di imparare

L'IDEA PRECARIA appartiene a una Mente:

• statica
• ferma nelle proprie posizioni
• predisposta a richiedere prima diritti di lavoro che a dimostrare le proprie competenze
• poco predisposta a considerare il proprio stipendio in funzione degli obiettivi da raggiungere
• solitamente convinta di saper fare solo perchè conosce la teoria

Seguono tre lunghi elenchi di blog e siti che, in base a quanto sopra, si suddividono nelle seguenti categorie: idee flessibili, idee flessibili e precarie, idee precarie.

E' con piacere che ho constatato che il blog L’officina della Comunicazione è stato inserito nella lista delle idee Flessibili

Immagine e reputazione aziendale, tra corrispondenze e discrepanze  

L’immagine di un’azienda è quello che il pubblico percepisce di lei superficialmente, quello che riesce a intravedere con il fumo negli occhi degli spot patinati e dei testimonial di lusso.

La reputazione riguarda le percezioni profonde, che si formano dopo aver fruito personalmente di un prodotto o un servizio, o al limite con il passaparola di chi lo ha già fatto, persona di fiducia che può raccontare come è andata.

L’immagine si può creare in breve tempo, con una sapiente campagna di comunicazione, bombardando il pubblico in maniera massiccia con una serie di interventi più o meno in grande stile, per lanciare una nuova marca, una nuova linea, un nuovo prodotto.

La reputazione si sedimenta lentamente, nel corso degli anni. Una buona reputazione richiede tanto lavoro dietro le quinte, tanti sforzi per migliorare quello che va meno bene, per realizzare sul serio quello che la pubblicità promette.

Valorizzare l’immagine quando la sostanza non è ottimale può essere utile se nel contempo si lavora sui comportamenti per migliorarli. La discrepanza può essere tollerata per un po’, per una durata inversamente proporzionale alla sua entità: maggiore è la discrepanza tra l’immagine che l’azienda cerca di dare a livello pubblicitario e i suoi comportamenti effettivi, minore è la tolleranza che il pubblico avrà per i proclami.

In alcuni casi, persino, il divario è talmente accentuato da rendere grotteschi gli atti comunicativi. Casi in cui la differenza tra ciò che il destinatario della comunicazione si vede promettere e quello che ottiene è incolmabile, e che aumentano solo l’insofferenza.

Alcuni esempi comprendono i partiti politici, che in campagna elettorale promettono mari e monti che mai realizzeranno, oppure Trenitalia, che da anni continua a reclamizzare quello che farà per risolvere i problemi, mentre questi diventano sempre più grossi e i ritardi si accumulano.

lunedì 21 aprile 2008

Comunicare bene per ottenere finanziamenti  

Le piccole e medie aziende hanno una maggiore necessità, rispetto alle grandi imprese, di poter contare su finanziamenti per portare avanti le loro attività. Necessitano di liquidi da spendere per l’innovazione, la ricerca, il rinnovo dei macchinari, la formazione del personale, la competitività sui mercati internazionali.

Eppure le PMI italiane sono risultate il fanalino di coda nell’utilizzo dei finanziamenti tematici comunitari 2002-2006. Lo dice un rapporto del Censis presentato nei giorni scorsi. E non perché non si siano fatte avanti. La realtà è che l’Unione Europea ha accolto solo il 13,1 delle domande presentate. La stragrande maggioranza sono state respinte.

Avevo già sottolineato in un paio di occasioni (qui e qui) l’importanza di una corretta, completa e accattivante comunicazione finanziaria per poter ottenere prestiti dalle banche nell’epoca di Basilea 2.

Ma le fonti di credito non si limitano alle banche e anche i fondi europei possono avere un ruolo rilevante nel permettere di attuare o meno dei piani di sviluppo.

Dato che la commissione giudicante sceglie a chi assegnare i finanziamenti comunitari sulla base della documentazione sottoposta dalle stesse imprese richiedenti, è evidente che esiste un problema di comunicazione. Mancano l’abilità di presentarsi sotto la luce più favorevole e la capacità di far comprendere a fondo l’utilità di ciò che si intende fare con i soldi dell’UE.

Il non poter fruire di quella linfa vitale che per le piccole società è costituita dal finanziamento (talvolta a fondo perduto), si traduce in una pesante penalizzazione, che comporta una perdita di competitività, soprattutto nei confronti delle aziende straniere che, come illustra il rapporto Censis, da questo punto di vista appaiono molto più agguerrite e in grado di accaparrarsi le risorse pubbliche.

E’ necessaria quindi una seria riflessione sul tema della comunicazione aziendale da parte di tutti coloro che in azienda hanno responsabilità.



mercoledì 2 aprile 2008

Chi difende la reputazione di chi difende la reputazione altrui ? 


Per strano che possa sembrare, chi è responsabile della reputazione di un’organizzazione o di un’azienda, si trova spesso (anche se poco volentieri) a doversi preoccupare della propria, di reputazione.

Non mi riferisco semplicemente alla difficoltà di definire il senso di una professione e di spiegare agli altri ciò che facciamo quando ci viene richiesto “e tu di che cosa ti occupi”?

Oltre a ciò, infatti, e i dibattiti sul tema sono all’ordine del giorno – l’ultimo proprio sul sito della neonata community di relatori pubblici Pr Italia - è ancora necessario, nell’epoca del quarto modello sviluppato da Grunig e Hunt nel 1984, dover anche difendere la correttezza e la buona fede di una categoria che viene spesso considerata piena di incompetenti che fanno solo del fumo, quando non di ciarlatani.

“Sono capaci tutti”, è il commento più gentile che si sente certe volte, rivolto a chi lavora nelle relazioni pubbliche.

Ecco invece alcuni comportamenti che, se messi in atto in maniera sistematica, contribuiscono ad aumentare la credibilità di chi lavora per rendere credibile il lavoro altrui:

- essere credibili come persone: dimostrarsi affidabili, rispettare le scadenze, non promettere senza mantenere, essere coerenti nei propri comportamenti.

- essere etici: riconoscersi in un sistema di valori e adottare comportamenti in linea con gli stessi.

- dire la verità (il più possibile).

- quando non è possibile rivelare determinate informazioni richiesteci spiegare perché.

- lavorare con trasparenza ed essere disponibili a rendere conto del proprio operato.

- non accettare posizioni in cui ci si potrebbe trovare in un conflitto di interessi (le probabilità sono maggiori per chi lavora autonomamente).

- evitare atteggiamenti e linguaggio enfatico, frasi a effetto, con iperboli ed esagerazioni, non “spararle grosse”, cioè.

- far derivare i propri atti da un progetto complessivo, a sua volta collegato con gli obiettivi dell’azienda, e verificarne la riuscita sottolineando il contributo della funzione al raggiungimento di tali obiettivi.

- ogni volta che è possibile quantificare in cifre il contributo del proprio lavoro, non perdere l’occasione di farlo e farlo sapere.

domenica 23 marzo 2008

Un ruolo strategico in azienda ? Si ottiene così 

A fronte dell’esigenza pressante per un relatore pubblico che operi in contesti aziendali di avere un ruolo strategico - senza il quale il suo operato si svuoterebbe di significato e utilità – si riscontra una persistente diffidenza da parte del management verso questa questa funzione.

Da un lato, quindi, l’onere di conquistarsi un ruolo di spessore manageriale ricade sulle spalle di chi riveste la funzione.

Dall’altro resta il gusto della sfida di riuscire a creare e definire in prima persona la posizione che si vuole avere in azienda, uscendo dal limbo in cui troppo spesso i relatori pubblici sono confinati.

Qui di seguito alcuni comportamenti pratici che possono aiutare a ottenere un ruolo manageriale.

1. Acquisisci conoscenze

Leggi e analizza quante più informazioni possibili, abbonati ai principali quotidiani nazionali, e magari a qualcuno internazionale (o visita i loro siti internet). Non dimenticare la stampa locale, che è quella che si può occupare più direttamente della tua azienda.

Se non hai tempo di dedicarti alla rassegna stampa, troverai molto utile scaricare quelle che sono pubblicate ogni mattina sui siti del Governo e della Camera.

Parla e tieniti in contatto con esperti di associazioni professionali e commerciali, conferenzieri e rappresentanti di consorzi e network di categoria. Frequenta convegni e meeting professionali, visita fiere, esposizioni e kermesse. Forma dei contatti, fai network. Sii in prima linea e avvicinati il più possibile alla fonte delle informazioni: più fresche e in-mediate sono le tue conoscenze, più valore acquisiscono.

Monitora continuamente l’ambiente circostante, tieni occhi e orecchie aperti, fai domande, assicurati di ottenere le informazioni che possono avere influenza sull’andamento dell’azienda.

2. Impara a gestire le informazioni

Questo significa prima selezionare e poi interpretare le informazioni.

Nell’attuale bombardamento mediatico ai limiti dello spam, se non vuoi perdere le giornate a leggere le cose più inutili, è di vitale importanza scremare velocemente le informazioni rilevanti dalla massa informe di dati.

Poi dovrai interpretare e capire le notizie: quali sono gli avvenimenti rilevanti per l’azienda e il settore, quali meno, su che cosa vanno a incidere, quali le possibili conseguenze.

Si tratta di chiederti per esempio quale può essere l’impatto sulle vendite della crescita dell’euro o dell’aumento del costo del petrolio, ma anche del nascere di una nuova borghesia cinese con possibilità di spendere e il desiderio di prodotti di qualità e stile europei.

Focalizzati in particolare sui trend e sulle novità del tuo settore industriale, cerca di capire perché le cose succedono, non solo come succedono.

3. Fai delle ricerche

Essere strategici significa non solo farsi le domande giuste ma anche sapere dove cercare le risposte. Non aspettare che gli altri ti comunichino le informazioni o che ti capiti di venirne a conoscenza per caso, mettiti tu stesso alla ricerca. Approfondisci gli argomenti di tuo interesse, allarga i confini di quello che leggi, amplia il tuo raggio d’azione. Il tuo motto deve essere: andare oltre. Chiediti: c’è ancora qualcosa che devo sapere ? Che cosa posso leggere, imparare, vedere, d’altro ? Chi potrei ancora contattare ? Guai a chiudersi in confini chiusi, per quanto ampli possano sembrare in un determinato momento. Mai autolimitarsi in quello che si potrebbe venire a conoscere.

4. Traduci le conoscenze in capitale lavorativo

Valuta che cosa si può fare per sfruttare al meglio gli accadimenti di cui sei venuto a conoscenza, oppure per limitare i danni (a seconda che l’impatto dell’avvenimento sia positivo o negativo): che cosa si poteva fare per evitare o far accadere qualche cosa ? Utilizza le conoscenze acquisite per migliorare le cose. Metti insieme conoscenze che ti vengono da fonti diverse per creare valore aggiunto e trovare soluzioni originali ai problemi.

Essere strategici è abituarsi a vedere le cose all’interno di un contesto generale, a collegare i dettagli, mettendoli insieme come in un puzzle formato da tante tessere separate, che prese singolarmente appaiono prive di significato, ma che unite compongono un quadro generale di estremo interesse.

5. Sviluppa competenze al di fuori dal tuo settore

Per acquisire un ruolo di alto livello in un’azienda non è sufficiente conoscere soltanto la comunicazione. Bisogna acquisire le competenze cardine dei principali settori dell’organizzazione. Non limitarti quindi a saper scrivere un comunicato stampa, a organizzare un evento, a fare una presentazione, ma procurati una base piuttosto ampia di competenze aziendali: impara a leggere un bilancio, fatti un’idea di che cos’è il controllo di gestione, apprendi i rudimenti dell’economia e del management. Cerca di capire i parametri e il linguaggio delle altre funzioni (acquisti, logistica, vendite, contabilità, ecc.). Fai domande ai responsabili per capire come vengono gestite le funzioni nella tua specifica azienda.

6. Infine, acquisisci abilità trasversali come capacità di leadership, ottima per guidare gruppi di lavoro, di negoziazione (importantissima per chi lavora con le relazioni) e di problem solving.

venerdì 29 febbraio 2008

Markets are conversations, ma non da Bar Sport

La rivoluzione provocata nel settore della comunicazione d’azienda dall’avvento massiccio dei social media sta imponendo velocemente alle imprese il modello di Grunig della comunicazione simmetrica a due vie, costringendole a un veloce cambio di mentalità.

E’ richiesta maggiore apertura e disponibilità a rapportarsi con l’esterno, soprattutto con i clienti e potenziali tali. Che non accettano più di essere considerati dei sudditi paganti, ma trattati come chi ha il potere di decidere del futuro di un business. Esigendo una conversazione onesta e aperta, da pari a pari.

Mentre le aziende cercano di adeguarsi, si assiste alla crescita del fenomeno speculare, che consiste nello “sbraco” di certi approcci da parte di potenziali clienti (o forse sarebbe meglio definirli curiosi oziosi).

Se lavorate b2c e avete un sito internet con un form di richiesta informazioni, o un’e-mail preposta, capirete al volo quello che intendo dire: messaggi illeggibili pieni di K al posto del ch, zeppi di parole tronche, che sembrano degli sms scritti da quindicenni. Richieste di quotazioni anonime, buttate lì, talmente generiche, incomplete e frettolose, da risultare incomprensibili.
Come se ci si rivolgesse al vicino di casa (magari urlando dal terrazzo), o al ragazzo che serve al banco del Bar Sport (“ué, dammi un po’ due birre come quelle dell’altra volta”).

Ovviamente non tutte le comunicazioni sono così, e forse nemmeno la maggioranza. Ma una volta sarebbe stato impensabile riceverne anche solo una.

E’ chiaro che un’azienda “aperta” è naturalmente portata a una maggiore informalità. Lo stesso strumento e-mail predispone a un linguaggio meno burocratico e formale (ricordate come si scriveva quando si facevano i primi fax ? E i testi di certe lettere sui manuali di corrispondenza commerciale ?).

Ben diverse sono la sciatteria e la maleducazione. Che non dovrebbero proprio essere accettate.

Le aziende hanno dovuto imparare che non bastava la qualità del prodotto, per prosperare, bisognava anche curare lo stile e la forma nel modo di presentarsi (le relazioni pubbliche sono nate anche per questo).
Adesso è venuto il momento di cominciare a educare il pubblico.

domenica 17 febbraio 2008

La funzione strategica della comunicazione ambientale  


Rispettare l'ambiente naturale per vivere meglio oggi e per creare un futuro sostenibile è un obbligo dal quale non sono esentate le aziende. Ma è possibile trasformarlo in una opportunità, anche di mercato. E gran parte del compito spetta a chi si occupa di comunicazione.
Ne parlo approfonditamente in un articolo scritto per l'ultima newsletter di Spegea, la Scuola di Management della Confindustria di Bari.

martedì 12 febbraio 2008

Lavorare in azienda nella comunicazione 2. Il ruolo strategico


Strategico è una delle parole più abusate da chi tratta di relazioni pubbliche. Ma quando si è veramente strategici ? Se avete la possibilità di sedere al tavolo delle decisioni aziendali insieme ai massimi dirigenti e di integrare le istanze degli stakeholder nelle politiche organizzative, in modo da contribuire al raggiungimento degli obiettivi corporate, allora il vostro è un ruolo strategico. Ma come si riveste in concreto questo ruolo ? Approfondite leggendo qui.

mercoledì 6 febbraio 2008

Lavorare in azienda nella comunicazione - 1. Il ruolo operativo 


Fare comunicazione d'azienda o lavorare nelle relazioni pubbliche sono definizioni che oggi possono assumere significati tutt'altro che univoci. Molto dipende dal contesto di riferimento. In questo articolo su Comunitàzione mi soffermo su come si attua la funzione relazioni pubbliche/comunicazione quando il ruolo che le è affidato è a supporto di altre funzioni, in genere il marketing. Pur se limitativo rispetto al ruolo strategico (che approfondirò in un secondo articolo) si tratta del modo in cui ancora oggi molte aziende considerano questa professione, anche così non avara di soddisfazioni.

giovedì 31 gennaio 2008

La comunicazione come strumento di gestione del cliente interno 

L’elemento umano di un’organizzazione ne è la variabile più mutevole.Tenerne conto non significa “fare da padre”, “prendersi a cuore”, “farsi commuovere” dalle storie dei dipendenti in maniera ingenua o deamicisiana. Significa essere così intelligenti e aperti da capire che l’elemento umano esiste e non lo si può eliminare, ha un notevole peso e quindi va governato in un certo modo, nell’interesse dell’azienda.

Al contrario, chi non tiene conto del fatto di avere a che fare con delle persone, chi pretende che un dipendente lasci fuori dall’azienda quello che è (come se fosse possibile staccare delle parti di sé ricollegandole una volta usciti dal portone), pecca di stupidità, prima ancora che di cinismo, oltre a essere decisamente anacronistico.

Nell’impresa post-fordiana, dove si produce quello che è richiesto dal mercato, anziché cercare di vendere quello che i macchinari hanno prodotto, tra gli elementi intangibili che creano e mantengono il successo, il primo, il più importante, è quello umano. Il dipendente, il collaboratore, lo si chiami come si vuole, è la prima risorsa di un’azienda. Prima dei macchinari, prima dei beni immobili, prima del capitale sociale, delle tecnologie, dello stato patrimoniale e del conto economico.

Anche prima dei clienti, delle relazioni con loro, del brand value e delle quote di mercato.
Perché sono le persone che stanno dietro a tutte queste cose, ed è una utopia pensare che solo i dirigenti abbiano influenza e contino. Fate invece attenzione a come il vostro centralinista risponde alle chiamate e come le gestisce, perché la prima impressione sull’azienda si forma dall’accoglienza telefonica che si riceve, e non dalla faccia dell’amministratore delegato che sorride su un quotidiano.

mercoledì 30 gennaio 2008

Parlate di me, anche male, purché parliate di me 


La Ryan Air rischia di dover pagare 500.000 euro a Carla Bruni, se perderà la causa, per aver sfruttato la sua immagine senza permesso.

Non ho idea dei compensi che percepisce la top model per prestare la sua immagine, ma forse, adesso che sta per diventare Madame Sarkozy, la somma non basterebbe per ingaggiarla.

In compenso si fa un gran parlare della Ryan Air, per questa uscita.

Può darsi la compagnia aerea sia condannata a pagare. Ma in fondo una campagna pubblicitaria di alto livello e ben congegnata non potrebbe costare di più ?

Veramente niente male come trovata.

Nuovo Codice IAP: obblighi e opportunità per le aziende 

Il 21 gennaio è entrato in vigore il nuovo Codice della Comunicazione Commerciale, che recepisce la direttiva comunitaria 2005/29/CE riguardante le pratiche commerciali scorrette.

Redatto dall’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria a tutela dei consumatori contro la pubblicità e le comunicazione commerciale sleali, introduce un’importante novità: regole e controlli saranno estesi non più solo alla pubblicità ma a tutta la comunicazione commerciale aziendale – - finora non regolamentata perché di natura privata.

Saranno compresi quindi settori prima esclusi dai controlli come il direct marketing e le promozioni.

Il codice richiede (nelle Finalità) che la comunicazione commerciale sia “sia onesta, veritiera e corretta.” ed “è vincolante per aziende che investono in comunicazione, agenzie, consulenti, mezzi di diffusione, le loro concessionarie”.

C’è da augurarsi che i controlli siano immediati e le sanzioni tempestive, in modo che chi si attiene al Codice non sia penalizzato rispetto a chi “le spara grosse”, che in tal modo ricaverebbe un ingiusto vantaggio rispetto alle dichiarazioni, magari più modeste, di chi racconta le cose come stanno e vanta solo ciò che effettivamente può offrire.

In questo modo le aziende serie che praticano una comunicazione trasparente dovrebbero guadagnare in reputazione e fiducia da parte dei consumatori.

domenica 13 gennaio 2008

La pubblicità spam è nociva ? Sì, ma soprattutto inutile. 

Il Garante della privacy ha dichiarato illecita la pratica di inviare materiale pubblicitario non richiesto ad aziende, bloccando l’attività di una società che inviava annunci pubblicitari a valanga senza il consenso dei destinatari.

Ben venga l’azione del Garante. Quello che è incredibile è che ci sia bisogno di un intervento dell’autorità per capire che questo modo di fare marketing (che qualcuno definisce “marketing diretto”) non solo è nocivo, ma è soprattutto inutile.

Le motivazioni dietro questo metodo di lavoro ? Sostanzialmente due:

1) un’azienda che invia centinaia di messaggi pubblicitari si sente la coscienza a posto, pensa di aver lavorato molto, di essersi data da fare. E’ frequente sentire affermazioni come “ho una database con migliaia di indirizzi e-mail, ho scritto a tutti”, oppure “siamo parecchio attivi, spediamo continuamente e-mail ai nostri contatti” e cose del genere.

2) si spera che sparando nel mucchio qualche cosa nel paniere finisca per cadere comunque. Questo atteggiamento corrisponde ad affermazioni del tipo “tra i tanti che abbiamo contattato ci deve essere per forza qualcuno interessato alla nostra proposta”.

Fare del volume non vuol dire far dei risultati. Si raccoglie se si semina su terreni buoni, precedentemente preparati. In caso contrario non si consumano solo il tempo e il denaro dei destinatari, come sostiene il Garante, ma anche di chi invia le e-mail: finiscono dritte nella posta eliminata senza essere aperte, e quindi non sono viste neanche dai potenziali interessati.

In particolare l'atteggiamento al punto 2) è stato reso obsoleto dal ruolo attivo che assume oggi chi è interessato a una fornitura di qualche genere. La ricerca e la scelta del fornitore adatto avviene attraverso altri canali, che non sono le e-mail di reclame che intasano la casella di posta, ma in genere il proprio network di contatti e il word of mouth.