L’elemento umano di un’organizzazione ne è la variabile più mutevole.Tenerne conto non significa “fare da padre”, “prendersi a cuore”, “farsi commuovere” dalle storie dei dipendenti in maniera ingenua o deamicisiana. Significa essere così intelligenti e aperti da capire che l’elemento umano esiste e non lo si può eliminare, ha un notevole peso e quindi va governato in un certo modo, nell’interesse dell’azienda.
Al contrario, chi non tiene conto del fatto di avere a che fare con delle persone, chi pretende che un dipendente lasci fuori dall’azienda quello che è (come se fosse possibile staccare delle parti di sé ricollegandole una volta usciti dal portone), pecca di stupidità, prima ancora che di cinismo, oltre a essere decisamente anacronistico.
Nell’impresa post-fordiana, dove si produce quello che è richiesto dal mercato, anziché cercare di vendere quello che i macchinari hanno prodotto, tra gli elementi intangibili che creano e mantengono il successo, il primo, il più importante, è quello umano. Il dipendente, il collaboratore, lo si chiami come si vuole, è la prima risorsa di un’azienda. Prima dei macchinari, prima dei beni immobili, prima del capitale sociale, delle tecnologie, dello stato patrimoniale e del conto economico.
Anche prima dei clienti, delle relazioni con loro, del brand value e delle quote di mercato.
Perché sono le persone che stanno dietro a tutte queste cose, ed è una utopia pensare che solo i dirigenti abbiano influenza e contino. Fate invece attenzione a come il vostro centralinista risponde alle chiamate e come le gestisce, perché la prima impressione sull’azienda si forma dall’accoglienza telefonica che si riceve, e non dalla faccia dell’amministratore delegato che sorride su un quotidiano.
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