sabato 29 settembre 2007

Agenzie di lavoro interinale, carenze di informazioni e comunicazione autogestita  


L’anello debole della comunicazione delle organizzazioni di lavoro ad interim, quelle con i siti internet patinati in cui trovano posto sezioni tipo media room, investor relations, annual report, ecc. sono, scusate se è poco, le agenzie di reclutamento del personale.
E’ quanto risulta da un’inchiesta di Altroconsumo, realizzata tramite finti candidati che si sono presentati per dei colloqui. Ne emerge che il personale delle agenzie sarebbe impreparato, incapace di rivolgere le domande giuste per evidenziare le competenze dei candidati e poco disponibile all’ascolto. Soprattutto non in grado di informare sui diritti e i doveri contrattuali di chi viene assunto da un’azienda tramite un’agenzia.
Tanto da spingere Altroconsumo a realizzare una guida in materia per supplire a questa mancanza.
Dopo la disintermediazione, il prossimo passo sarà la comunicazione autogestita dal fruitore ?

lunedì 24 settembre 2007

Non profit vs no profit: quanti comunicatori ancora non sanno la differenza ?


C’è una bella differenza nel definire un’organizzazione come non profit o no profit. Lo spiega molto bene Paolo D’Anselmi dal sito della Ferpi, in un pezzo di un po’ di tempo fa:

Non profit vuol dire senza scopo di lucro ed ha la sua santificazione nel titolo del libro della mitica professoressa Regina Herzlinger: Financial accounting and managerial control in non profit organizations (South-Western Publishing Co., Cincinnati, 1994).

No profit vuol dire senza profitto, nel senso di senza costrutto. Il contenuto che passa nel lapsus è quindi che l'amore per il non profit racchiude l'odio verso il profitto. E la pretesa di fare a meno di esso. La precisazione è che si può fare a meno del lucro, cioè della appropriazione personale del profitto, ma non del profitto in sé. In ogni operaziione i conti devono alla fine tornare. Il profitto ci deve essere, almeno quello ideale, e questo è chiaro a tutti, ma ci deve essere anche il profitto reale, in senso stretto, quello economico, cioè bisogna guadagnare. Entrate e uscite devono quadrare anche all'orfanotrofio, all'ospedale e in chiesa.

(clicca qui per leggere l’articolo completo)

Ma quanti comunicatori (e giornalisti) ancora non lo sanno ?

Di sicuro ne sono all’oscuro i curatori della campagna pubblicitaria del Credito Valtellinese e gli ideatori del ContoNoProfit, rivolto alle aziende del settore da loro definito appunto no profit.

Un po’ come dire che un’organizzazione senza profitti può aprire un conto (e cosa ci versa ?) per giunta che non rende niente (allusione alle condizioni capestro praticate dalla banca ?). Non molto conveniente, sembrerebbe.

Parafrasando una fin troppo citata campagna pubblicitaria, si potrebbe dire: no profit - no party.

giovedì 20 settembre 2007

Le piccole imprese e la brand equity 

Avere un marchio forte e immediatamente riconoscibile pare sia una necessità imprescindibile per un’azienda nell’era in cui tutti i prodotti sono uguali e la scelta del consumatore avviene in base al brand.
Siete una pmi e non sapete da dove cominciare ?
Realizzate e vendete bulloneria, lavorate l’oro per conto terzi (magari per un marchio famoso) ma il vostro nome non compare, producete cablaggi, pannelli in compensato, cancelli industriali, stampate materie plastiche ? Magari siete anche bravi, ma i vostri prodotti non si vendono nei supermercati, il grande pubblico non li conosce e non li acquista, in pochi hanno sentito parlare di voi.
Siete una piccola o media impresa che lavora bene e fa profitto, il vostro lavoro fornisce ad altri i semilavorati o gli strumenti necessari per realizzare i loro prodotti finiti, quelli che vanno al consumatore. Date lavoro a un buon numero di persone, create ricchezza per la comunità locale. Ma non avete un marchio. Condividete questa sorte con tante piccole aziende che lavorano nei vostri settori o in ambiti affini e vi siete stancati di non essere considerati solo perché il vostro logo, quello che compare sulla vostra carta intestata e sui biglietti da visita dell’imprenditore, non è noto.
Avete deciso che volete più visibilità, maggiore brand awareness.
Cominciate con il non confondere il marchio con il logo. Il marchio rappresenta la vostra identità globale, i valori secondo cui operate e lo stile con cui lo fate, ed è questa identità che dovete curare e sviluppare, essendo consapevoli che ogni azione che l’azienda intraprende contribuisce allo scopo.
Mantenete coerenza con questi valori. Se il vostro punto forte è l’assistenza tecnica, organizzatela con cura maniacale, dalla operatrice telefonica che risponderà con estrema gentilezza anche al cliente seccato (perché ha un problema) fino al tecnico che effettuerà l’intervento con tempestività e competenza. Rispondete sempre alle e-mail dei clienti che chiedono delucidazioni. Realizzate una sezione “soluzioni ai problemi comuni” nel vostro sito internet, sfruttando il know how che vi deriva dalle esperienze compiute e aggiornatela frequentemente, man mano che il vostro patrimonio di conoscenze aumenta. Mettete online i manuali di istruzioni dei vostri prodotti, in modo che possano essere sempre a portata di mano del cliente. Se avete conseguito qualche certificazione rendetelo noto.
E continuate nel tempo senza stancarvi, perché si tratta di un lavoro i cui risultati escono alla distanza.
Il vostro logo non brillerà dalle vetrine dei negozi di scarpe, auto, abbigliamento, ecc ma si diffonderà con successo tra gli operatori del settore.

lunedì 17 settembre 2007

L’anello debole della catena  


La forza di una catena, si dice, si misura da quella del suo anello più debole.

E l’immagine e la reputazione di un’azienda ? Anche. Ma qual è l’anello più debole ?

Non è lo stesso per tutte ma, per le aziende che fanno e-commerce o comunque vendono a distanza spedendo a domicilio, sovente è la consegna. O meglio, il corriere a cui si affida la spedizione.

Chi ha esperienza di questo settore sa che non sono infrequenti – nei periodi prima di Natale e prima delle ferie di agosto sono all’ordine del giorno – questi comportamenti:

1) il corriere non preavvisa telefonicamente la consegna e il destinatario è a lavorare (il corriere consegna in orario lavorativo) e non sapendo del suo arrivo non ha fatto trovare nessuno a casa.

2) il corriere preavvisa la consegna specificando un orario di massima, il destinatario prende mezza giornata di ferie e il corriere non si presenta. Interpellato risponde che ha perso tempo con consegne precedenti/c’era un incidente che ha causato un ingorgo/si è rotto il furgone.

3) Il corriere si reca all’indirizzo del destinatario senza preavvisare la consegna, trova fortunosamente il destinatario in casa – sotto la doccia – e lo obbliga a scendere immediatamente in strada mezzo bagnato (se il collo è pesante e/o voluminoso la consegna è al piano stradale) pena la partenza immediata senza la consegna del pacco.

4) Il corriere arriva con un pacco mezzo danneggiato. Il destinatario, precedentemente erudito dall’azienda in merito, chiede di effettuare un ritiro con riserva di controllo, annotandolo sul documento di trasporto (come previsto dal regolamento) e il corriere lo convince che non nè necessario (così non va nelle grane). A causa della mancanza di riserva, il destinatario non avrà titolo a richiedere il risarcimento danni.

La casistica potrebbe continuare ancora un bel po’. Ma ci fermiamo qua perché i quattro esempi rendono ampiamente l’idea di come il lavoro per realizzare un sito di e-commerce curato, dettagliato, aggiornato, eccetera, possa essere spesso e volentieri boicottato dal corriere. L’ultimo – in ordine di tempo, anello della catena, e spesso quello più debole, perché non fa parte dell’azienda e non gliene importa niente se la reputazione aziendale è danneggiata dalla sua scadente collaborazione.

Si ha voglia a spiegare all’inviperito cliente che telefona subito in azienda per fare le sue rimostranze che il corriere lavora per l’azienda, ma non è l’azienda, è solo un fornitore. Non serve, perché il corriere è stato scelto dall’azienda (non la persona che fa la consegna, ovvio, ma la ditta di spedizioni che offre un determinato servizio) e quindi in quel momento è l’azienda.

Piaccia o no, bisogna tenerne conto.


martedì 11 settembre 2007

Per non dimenticare



Oggi è l'11 settembre, non dimentichiamo...

lunedì 10 settembre 2007

A chi servono le relazioni pubbliche (2) 

L’offerta è vantaggiosa e se di vostro interesse contattataci !

Con viva cordialità.


Segue firma con nome e indirizzo dell’azienda.

Questo lo scarno testo di una comunicazione arrivata all’indirizzo e-mail generale (quello che si trova nel sito internet per intenderci - anziché a quello personale del responsabile tecnico) di un’azienda da parte di un perfetto sconosciuto.

A che cosa si riferisca l’offerta si capisce dalle 5 parole dell’oggetto e-mail (allarmi per i locali aziendali) e, se proprio si vuole aprirlo, dal file allegato.

C’è da chiedersi se chi scrive desideri veramente vendere, oppure debba solo dimostrare di aver fatto un gran volume di offerte.

Ora, passi il fatto di mandare un’e.mail a pioggia per la difficoltà di rintracciare le aziende che potrebbero essere interessate a installare un allarme proprio in questo momento. Però qualche parola in più (considerato che l’e.mail la si scrive una volta sola per tutti i destinatari) non guastava.

Che cos’hanno i vostri allarmi di diverso e di meglio degli altri ? Perché dovrei aprire immediatamente il vostro allegato ed eventualmente contattarvi ? Perché non cestinarvi immediatamente sbuffando per lo spam che mi continua ad arrivare nonostante il filtro ?

Tra dozzine di messaggi di questo tenore, non immaginate quali vantaggi potreste avere con poche frasi in più. Uno per esempio: quello di farvi ricordare – ed eventualmente contattare - se fra qualche mese avrò bisogno di un allarme (o credevate mica di essere così fortunati da trovarmi alla ricerca di un allarme in questo preciso momento ?!).

martedì 4 settembre 2007

A chi servono le relazioni pubbliche ?  

Saper comunicare chi si è, mettersi in relazione con il pubblico di proprio interesse in modo da “vendersi” bene, far percepire il proprio valore, costruire relazioni costruttive ai fini della realizzazione dei propri obiettivi. E’ l’ambito di competenza delle relazioni pubbliche.

Pensare che servano solo alle aziende, agli enti, organizzazioni, ecc. è però limitativo.

Servono anche a tutti coloro che, di propria iniziativa, vogliono relazionarsi con l’azienda, diventare suoi stakeholder.

Come un rivenditore (o sedicente tale, il dubbio è lecito, come si vedrà) che desidererebbe proporre ai suoi clienti i prodotti dell’azienda in questione.

Questo è il testo (riprodotto con il copia e incolla) pervenuto all’ufficio commerciale di un’azienda da uno di questi aspiranti rivenditori.
Vediamo che cosa dice.

Oggetto: richiesta d'informazioni

sapei interessato a diventare un rivenditore ufficiale della mia zona dei vostri prodotti potete farmi sapere qualcosa di più a tale proposito?


Seguono firma e località.

Ebbene: ma chi sei veramente ? perché non descrivi la tua attività, di che cosa ti occupi, che cosa commercializzi nel tuo punto vendita (quanto è grande ? in che tipo di zona sei, centro storico, all’interno di un centro commerciale, zona di grande passaggio, ecc). Conosci già i nostri prodotti, perché li vuoi vendere ?

Perché non ci dici tu qualcosa di più in proposito. Tira fuori gli assi dalla manica, conquistaci con la descrizione del tuo valore, delle tue capacità. Convincici che lavorare con te sarà reciprocamente vantaggioso. Non siamo un’azienda in crisi, così disperata da mettersi nelle mani del primo anonimo (anche se nome e cognome ci sono) che ci chiede di rivendere i nostri prodotti.

Nel caso si decidesse di lavorare con questa persone sarà bene chiedersi: sarà in grado costui di comunicare il valore del mio brand in maniera adeguata, oppure esiste il rischio che, al contrario, lo danneggi ?