mercoledì 28 marzo 2012

Relazioni pubbliche motore di progresso aziendale

Le relazioni pubbliche sono un motore di progresso nelle aziende. E’ un circolo virtuoso: le aziende più innovative fanno relazioni pubbliche e questo contribuisce al loro modernizzarsi. Le relazioni tra persone (i pubblici sono fatti di persone, ricordiamolo) sono quelle che creano un’azienda. Anche le realtà nate dall’idea di un singolo imprenditore si realizzano e vanno avanti grazie al lavoro di molte persone. All’intero e all’esterno dell’azienda. Qual è il collante che le tiene insieme ? I rapporti tra di loro, le relazioni appunto. Senza relazioni non ci può essere azienda. Anche le aziende che non comunicano in maniera sistematica e organizzata, che non fanno “relazioni esterne”, intrattengono comunque relazioni. Quelle tra la proprietà e i dipendenti, quelle con i fornitori, con le banche, con i clienti, come minimo.

Le relazioni modificano l’azienda. L’azienda è un sistema aperto, anche se è chiusa, chiusissima per mentalità. Che un’azienda sia impermeabile dall’esterno è un’illusione. Le influenze esterne penetrano al suo interno, dall’interno escono input verso l’esterno e questo flusso bidirezionale apporta continue modifiche allo status quo.

Anche le persone neo-assunte portano qualcosa che prima non c’era. Chi se ne va, invece, anche se sostituito, porta con sé qualcosa di suo, di insostituibile. I rapporti cambiano, il clima interno cambia. Non c’è niente di immobile, di immutabile in un’azienda. E’ un organismo vivo che, come un corpo umano, subisce continue trasformazioni, anche se non tutte sono sempre e immediatamente percepibili.

Le aziende che coltivano le relazioni, al proprio interno e con l’esterno, progrediscono più velocemente delle altre. E sopravvivono quando le altre vanno in crisi e chiudono. Se c’è contrazione di mercato la sentono meno.

Infatti le aziende fondate sulle persone (anziché sui macchinari, sul marketing, sulla finanza) godono dei benefici che la valorizzazione delle persone porta con sé: le idee, l’impegno, la creatività, lo spirito di iniziativa, la proattività, la propositività, talvolta anche l’abnegazione.

Le aziende che mettono al centro le persone creano e favoriscono relazioni fondate sulla fiducia, sul dialogo, sulla negoziazione, sulla trasparenza. Anche dove esistono, le gerarchie sono più sfumate, meno rigide, meno penalizzanti per chi non ne occupa il vertice. Le informazioni circolano più liberamente, non solo con modalità top-down ma anche bottom-up. Valori fondanti, mission e vision sono conosciuti e condivisi. Perché questo sia possibile sono stati prima meditati e poi messi sulla carta. Tutti sanno esattamente in che direzione si sta andando. Se ci sono dei problemi non sono nascosti ma palesati, si cercano soluzioni condivise. Soprattutto si cercano soluzioni anziché focalizzarsi sui problemi o individuare capri espiatori. Anche se l’azienda non è sui social network c’è apertura all’esterno. Le selezioni del personale sono rivolte a chiunque abbia i requisiti per la posizione ricercata (non solo agli amici dei conoscenti degli amici), la comunicazione di prodotto è chiara, esaustiva, il cliente sa esattamente che cosa sta acquistando e che diritti ha. Il merito è riconosciuto e premiato. Le criticità sono affrontate nell’ottica di superarle, non di tagliare delle teste. Le responsabilità sono esplicitate, ognuno sa quello che ci si aspetta da lui (o lei).

Nelle aziende di tal sorta, non sono solo le competenze in senso stretto che sono importanti per il raggiungimento dei risultati, conta anche il fatto che le doti umane possono esprimersi in maniera più libera, non più imbrigliate dalle gerarchie, irrigidite dalla paura di agire.

Tutto ciò è possibile solo coltivando relazioni aperte e positive, “win-win”, in cui i pubblici – interni ed esterni - sono tenuti nella giusta considerazione. Sono perciò invogliati ad aiutare l’azienda a raggiungere i suoi obiettivi che, se le relazioni sono state ben gestite, in buona parte coincidono.

La sfida del 21esimo secolo per le aziende sarà questa, comprendere l’importanza del fattore umano e delle relazioni con tutti i propri pubblici, che non potranno più essere trascurate, ma dovranno essere coltivate, curate con crescente raffinatezza, perfezionate.

martedì 27 marzo 2012

Italian Women in Pr: challenges and opportunities. Un mio post per PrConversations

E’ online da ieri su PrConversations.com il mio guest post Italian Women and Pr: challenges and opportunities, un’indagine sulla situazione delle donne italiane che lavorano nelle relazioni pubbliche.

A seguito di un precedente post di argomento simile, Le relazioni pubbliche al femminile. Riflessioni dopo l’8 marzo, ho ricevuto da Judy Gombita, che avevo citato, l’invito ad approfondire l’argomento per PrConversations.

Ne è nato un lungo post, che parte da due recenti studi svolti in Italia e continua con quelle che ritengo siano le sfide e – per le donne che vorranno coglierle - le opportunità per migliorare 1) la situazione nostra e delle nostre connazionali impegnate nel settore, 2) la cultura delle relazioni pubbliche nelle organizzazioni italiane. Due cose che non sono separate ma strettamente connesse, in quanto le lavoratrici delle relazioni pubbliche avranno possibilità di crescere professionalmente solo se il settore si evolve e si amplia.

Con non poca sorpresa da parte mia, trattandosi del mio primo post per PrConversations, l’argomento ha subito avuto risonanza nel web. Questi sono i link di twitter e dei siti che lo hanno citato. Tra cui Alltop Pr di Guy Kawasaki.

Talk of the Town PRChallenges and opportunity

Ashley Benisatto An Italian perspective on gender & public relations by @EnricaOrecchia (via @prconversations)

Prconversations An Italian perspective on gender & public relations by @EnricaOrecchia (via @prconversations)

Judy Gombita Influential Cool beans @EnricaOrecchia! RT @Alltop_PR: Italian women in PR: challenges and opportunities [on @prconversations]

Alex Sévigny Influential An Italian perspective on gender & public relations by @EnricaOrecchia (via @prconversations)

Josh Greenberg Influential An Italian perspective on gender & public relations by @EnricaOrecchia (via @prconversations)

greenbanana Heather YaxleyRT @prconversations: Excellent guest post by @EnricaOrecchia: Italian women in PR: Challenges & Opportunities #PRC

Alltop PR Influential Italian women in PR: challenges and opportunities

prconversations Excellent guest post by @EnricaOrecchia: Italian women in PR: Challenges & Opportunities #PRC

Seo Werkt Italian Women in Pr challenges and opportunities

Fondato nel 2007 da Toni Muzi Falconi, PrConversations è un blog di risonanza internazionale, probabilmente il numero uno del settore, che fa cultura di relazioni pubbliche. E’ gestito da Judy Gombita, Heather Yaxley e Markus Pirchner.

domenica 25 marzo 2012

Il non facile rapporto tra piccole imprese e comunicazione. Intervista a Luca Poma

Le piccole e medie imprese costituiscono il 90 % del tessuto imprenditoriale italiano. Portatrici di eccellenze, vendono sui mercati internazionali, hanno spesso bilanci in attivo e creano occupazione in aree periferiche che le grandi aziende snobbano. A tanti pregi fa da contrappunto una carenza nella comunicazione, una assenza di cultura delle relazioni pubbliche che penalizza realtà meritevoli di ben altro successo.

Sulla questione ho chiesto il parere di Luca Poma*, che nella sua attività incontra frequentemente il mondo della piccola imprenditoria.


1) Tu sei di Torino però lavori anche nell’area milanese (oltre che a livello nazionale e internazionale). Quali differenze hai notato tra le PMI piemontesi e quelle lombarde e in particolare milanesi, dal punto di vista della comunicazione ? Sono più le problematiche che le accomunano in quanto PMI oppure ci sono differenze notevoli per mentalità, cultura, organizzazione, ecc. ?


Direi che sono più le mentalità che le accomunano in quanto PMI che non le differenze culturali dovute al territorio. Forse quelle piemontesi sono un poco più "conservative": è difficile ad esempio diventare un loro fornitore, ma quando acquisisci la fiducia della proprietà è anche molto difficile cadere vittima del turnover. A Milano invece sono un po' più sensibili alla "migliore offerta del momento".


2) Quale attività o ambito della comunicazione consiglieresti di considerare per primo a un’azienda, presente già da tempo sul mercato, che deve cominciare da zero a comunicare in maniera sistematica e organizzata ?


Mappare i suoi pubblici, senza una mappatura adeguata è inutile qualunque azione di comunicazione. Per dirla con una battuta: se non sai "a chi" vuoi o devi parlare, perché apri la bocca? Prima bisogna stabilire le priorità, poi si ragiona sugli obiettivi, e solo infine sui mezzi.


3) Un consiglio da dare ai titolari di una start up che vuole puntare sulla comunicazione per farsi conoscere ?


Rifletti sul DNA della Tua azienda: cosa "sognavi" quando l'hai creata? Bisogna ripartire da li. In questo eccessivo "affollamento" di messaggi, la comunicazione non può innanzitutto che essere identitaria.


4) A che cosa non deve assolutamente rinunciare una piccola impresa che vuole comunicare ?


Alle idee. Non credo nei pubbli-redazionali pagati. I progetti devono "parlare da sé", non serve - e non è bello - pagare pagine e pagine di pubblicità sui giornali per "fasti notare". Il vero driver competitivo è ciò che distingue l'azienda dai concorrenti.


5) Quali sono gli errori più comuni che le PMI commettono nel fare comunicazione ?


Normalmente all'inizio, quando si affacciano nel "favoloso mondo della comunicazione", partono dal presupposto che ogni sbadiglio dell'amministratore delegato - che spesso è anche il fondatore, il presidente, il tesoriere, etc - debba finire segnalato sulla prima pagina del Corriere della Sera, possibilmente gratis. Non ci riescono, e quindi - un po' frustrati - si affidano a un normale ufficio stampa, come se bastasse mandare un comunicato stampa per ottenere visibilità sui mass-media. Non riescono ad ottenere risultati neanche così, e allora si convincono che sono tutti soldi sprecati e rinviano il problema di tre anni. Ripeto: senza mappatura degli stakeholder, priorità, obiettivi e strategie non si va da nessuna parte, il "mezzo" è decisamente l'ultima fase del processo.


6) Una delle tue specializzazioni è la comunicazione di crisi. Ritieni che questo particolare ambito della comunicazione serva anche alle PMI, e se sì fino a che punto, oppure che non valga la pena di investire nell’eventualità di eventi che solo ipoteticamente potrebbero verificarsi ?


Nel mio ultimo libro de Il Sole 24 Ore, "Crisis Management: guida alla comunicazione di crisi", cito le case-history di molte grandi aziende, ma anche di PMI. Mosaico Arredamenti, un mobilificio, è entrato nella "storia" delle crisis. Quando mandarono una letteraccia legale chiedendo 400.000 di danni a un cliente insoddisfatto che si era lamentato su un forum di discussione sul web, a momenti chiudevano tanta è stata la rivolta di piazza che dal web si estesa off-line con proteste di ogni genere. Anche un negozio può essere vittima di una crisi reputazione o strutturale. Il problema vero è che in Italia la cultura della prevenzione delle crisis non c'è l'hanno le grandi aziende, figuriamoci le PMI. E dire che basterebbe un investimento anche modesto per mettersi al riparo da rischi, ma - per dirla con una metafora - com'è noto si tende a stipulare la polizza contro i furti solo quando i ladri sono già passati.


7) Le piccole imprese costituiscono il 90 % delle aziende italiane e sono spesso definite l’ossatura del sistema industriale nazionale, o anche il tessuto imprenditoriale sano dell’economia italiana. Però, a detta di molti, comunicano poco e non sempre bene. Come si spiega questa discrepanza ? E’ possibile cioè lavorare male sul piano della comunicazione e avere comunque successo ?


Rispondo con una domanda: riusciamo ad immaginare che successo avrebbero e quanto guadagnerebbero le PMI italiane se oltre che fare un lavoro ben fatto sapessero anche comunicarlo bene?


8) Le carenze delle PMI sul piano comunicativo hanno una parte – e se sì in che percentuale approssimativamente - di influenza sulla crisi economica che ha colpito l’industria italiana ?


La crisi che sta vivendo il paese è strutturale, non afferisce al dominio della comunicazione. Ma certamente le aziende meglio rodate dal punto di vista della comunicazione interna ed esterna, delle relazioni positive con gli stakeholder, della capacità di prevenire scenari di crisi, eccetera, sono anche invariabilmente quelle che la crisi la patiscono meno, è così da sempre, non è certo questa la prima crisi in cui si è trovato coinvolto il sistema Italia.


9) Si sente spesso dire che le piccole aziende dovrebbero usare i social media, particolarmente i social network, per fare comunicazione, in quanto soluzioni low cost, e in rete fioccano i consigli ai piccoli imprenditori su come fare. Sei dello stesso parere ? Perché sì oppure perché no.


Tutte le aziende dovrebbero fare propri i meccanismi del web 2.0. E non perché sono soluzioni low-cost, non necessariamente, una mia cliente l'anno scorso ha speso sul web mezzo milione di euro: ma semplicemente perché funzionano e sono una strumento efficace per mettersi in relazione con i propri pubblici.


10) Su che cosa devono puntare i relatori pubblici che lavorano all’interno o con le PMI per accrescere con il loro operato la cultura della comunicazione tra i piccoli imprenditori ?


Rispettare i codici etici di categoria, ad esempio, dal momento che siamo tra i pochi professionisti in consulenza aziendale che ne abbiamo di codificati. E prendersi cura di mettersi in gioco anche in assenza di un incarico retribuito al fine di migliorare la cultura d'impresa su questi temi, ad esempio rendendosi disponibili per educational, seminari, etc. Non mi tiro mai indietro quando devo spiegare a un imprenditore i benefici di una strategia di comunicazione ben costruita, anche se non desidera darmi immediatamente un mandato. Dobbiamo far crescere la sensibilità degli imprenditori: se tutti noi colleghi facessimo così, a medio termine crescerebbe il mercato per tutti.


11) Il relatore pubblico che opera in una piccola impresa o, se libero professionista, con piccole imprese, oltre alle competenze e caratteristiche della professione in generale, deve possedere secondo te delle caratteristiche e competenze peculiari ?


Una straordinaria sensibilità umana, e deve anche essere un po' psicologo. Nelle grandi aziende si fa un progetto, se i numeri ci sono si va avanti. Nelle PMI si fa un progetto, magari i numeri ci sono anche, ma il "padrun" si è alzato male e non se ne fa niente. Lo dico affettuosamente: il mondo dei piccoli e medi imprenditori a volte è tanto stimolante quanto…bizzarro !


12) Le piccole imprese sono spesso più attente delle grandi aziende alla responsabilità sociale, soprattutto nei confronti dell’ambiente. Qual è il modo migliore per comunicare questo punto di forza in modo che sia adeguatamente valorizzato ?


Non concordo con questo dato, che pure alcune fonti riportano: trovo che la scriminante sia costituita dalla sensibilità dell'azionariato e del top-management. Abbiamo grandi aziende sensibilissime ai temi della sostenibilità, e piccole aziende che inquinano follemente, e viceversa.


13) Quali pensi siano le principali sfide che la comunicazione porrà alle aziende nel prossimo futuro ? Quali le sfide per i relatori pubblici ?


Come diceva un autorevole collega, "i mercati sono diventati conversazioni", e le aziende che non accetteranno questo fatto - indiscutibile e non negoziabile - saranno condannate a rimanere indietro. I relatori pubblici devono invece vincere la timidezza e rendersi realmente misurabili: è troppo facile gettare fumo negli occhi degli imprenditori sostenendo che il nostro apporto è "immateriale" e non si può misurare. Tutte storie. E se chi deve comunicare per Voi non ha nei vostri confronti un approccio realmente "autentico", beh... cambiate consulente !


Ringrazio Luca per la sua collaborazione.




*Luca Poma, giornalista, socio professionista della Federazione Relazioni Pubbliche Italiana, è consulente in Responsabilità Sociale d’Impresa, Comunicazione di Crisi e Comunicazione non convenzionale. Docente in comunicazione al Master di 1° livello dell'Università Bicocca di Milano, è relatore a centinaia di convegni e seminari in tutta Italia, autore di libri articoli e saggi, e negli ultimi 20 anni ha lavorato su questi temi – spesso con un approccio “non convenzionale” - in 23 paesi del mondo. La sua newsletter è Creatori di futuro.

sabato 24 marzo 2012

Ragazzi, non abbiate paura di scegliere Scienze della Comunicazione

Si avvicina la fine dell’anno scolastico e, per tanti maturandi, è il momento di scelte definitive: è ora di formalizzare l’iscrizione alla facoltà universitaria che dal prossimo settembre si frequenterà.

In tanti si dirigeranno verso Ingegneria ed Economia, incoraggiati dalle statistiche che premiano i laureati in queste discipline con il maggior numero di posti di lavoro a un anno dal conseguimento del titolo di studio.

Altri sceglieranno Giurisprudenza o Medicina, motivati da un interesse verso questi specifici settori che pure sembra offrano ancora discrete prospettive.

I più in dubbio saranno coloro che sono attratti, per interesse e inclinazione, dalle facoltà umanistiche.

A questi ragazzi vorrei dire : non abbiate paura di scegliere Scienze della Comunicazione. O lettere, lingue, filosofia, storia, storia dell’arte, se è quello che volete studiare.

Non fatevi sviare dai sondaggi, dalle statistiche, dai commenti altrui. Primi fra tutti quelli dei politici o dei commentatori tv. I primi hanno da tempo perso il contatto con le problematiche di vita dei cittadini nel cui interesse dovrebbero governare (!), gli altri hanno bisogno di argomenti per fare audience. Non vanno presi sul serio.

Invece, esaminate attentamente la vostra motivazione: fino a che punto vi interessa questa disciplina, che significato volete dare a questo corso di studi, quanto volete diventare padroni degli argomenti che studierete.


Il problema del lavoro non lo si affronta costringendosi a studiare (?) qualche cosa che non piace e per cui non si è portati.

Lo si affronta diventando persone mature, consapevoli, colte, nel senso che le nozioni apprese sono state rivestite di significati,hanno permesso riflessioni in grado di renderci più profondi, sono diventate la base per costruire parametri di interpretazione della realtà, ci hanno insegnato a fare le giuste valutazioni, a cercare soluzioni innovative ai problemi, a usare il pensiero laterale, a non fermarsi alle risposte che ci danno gli altri ma a cercare ognuno le proprie.

Le facoltà umanistiche sono eccezionali in questo. Lo studio del pensiero,della società, della letteratura, degli eventi storici sviluppano, in chi ci si dedica, la capacità di usare il cervello e di imparare gli strumenti per creare qualcosa di unico e originale. Non solo in azienda, ma nella propria vita. Che è poi il criterio con cui bisognerà cercare lavoro.

Il mondo, non solo quello del lavoro, cambia ogni giorno sotto i nostri occhi, le vecchie coordinate funzionano sempre meno. Nei posti di lavoro c’è bisogno di persone che propongano nuove idee. Non solo, è la stessa ricerca del lavoro a imporre di uscire dai vecchi schemi e provare vie alternative.

A questo difficile compito non si arriva preparati per il fatto di aver conseguito un pezzo di carta che, forse, quando sarete laureati , sarà anche privo di valore legale. Si arriva preparati se si ha avuto la lungimiranza di passare gli anni dell’ università a dare il massimo nello studio (e lo sottolineo perché non si pensi che intendo dire che studiare sta diventando obsoleto), a confrontarsi, discutere, soprattutto riflettere, e uscire dalle aule per fare esperienze, di volontariato, di politica, di lavoro, anche all’estero possibilmente per imparare bene l’inglese. Non perché le aziende lo richiedono, ma per capire il mondo,che usa questa lingua.

Se vi sembra che io manchi di realismo, vi invito a leggervi questo bellissimo post di Andreas Voigt


martedì 13 marzo 2012

Condividere la conoscenza. I corsi di Lab121

Sto frequentando, presso Lab121, l’associazione alessandrina di coworking di cui sono socia, un corso di aggiornamento in Social Network per aziende e freelance.

Tenuto da Gianni Porzio di Euronet, web agency della nostra zona, il corso esplora le potenzialità dei social network non come luoghi di futili chiacchiere, come spesso sono (mal) intesi, ma come mezzi di promozione dell’attività di aziende e professionisti.
E' una delle proposte del nutrito catalogo di corsi in Comunicazione e immagine professionale, riuniti sotto lo slogan "lo scambio della conoscenza", nello spirito di condivisione delle esperienze che caratterizza Lab121.

domenica 11 marzo 2012

Le relazioni pubbliche al femminile. Riflessioni post 8 marzo


Una delle discussioni più commentate su Linkedin nel gruppo Public Relations Professionals è quella sul tema “ Perché ci sono più donne che uomini nelle relazioni pubbliche”.


Rivolta a un pubblico internazionale, quindi nelle intenzioni di ampio respiro, ha una partecipazione quasi del tutto maschile, con solo una donna a commentare. Le argomentazioni non sono di particolare spessore né apportano nuovi contributi, ma dimostrano che l’argomento resta di attualità.


Al di là dei motivi per cui le relazioni pubbliche sono una professione in maggioranza femminile (qui, qui e qui alcuni dati) mi piace riportare alcuni commenti (non recentissimi ma sempre validi) che ho trovato in altre conversazioni per il web. A parlare sono donne, tutte con posizioni di responsabilità nelle relazioni pubbliche, oltre che molto impegnate nelle associazioni di categoria.


Le opinioni espresse sono da me condivise. Evidenziano criticità sulle quali c’è ancora da lavorare. Per esempio: una ricerca effettuata nel Nord-Est italiano evidenzia che il 77% di chi si occupa di relazioni pubbliche è donna ma solo il 46% sono le donne ai vertici aziendali.



Le ripropongo per stimolare ulteriori riflessioni e come punto di partenza per nuovi traguardi al femminile, non solo nelle relazioni pubbliche.


Maria Paola La Caria
, delegata Ferpi per il Triveneto: «Si tratta di un limite di noi donne, convinte di non avere tutte le doti per arrivare al vertice. C’è poi anche un problema di ritmi di vita se è vero che le decisioni più importanti in azienda si prendono dopo le sette di sera e a quell’ora le donne sono di solito a casa perchè hanno famiglia».


Per la La Caria le donne di successo nelle relazioni pubbliche riescono ad imporre un loro stile: «Spesso siamo noi stesse a sceglierci un ruolo meramente esecutivo, perché siamo brave a fare e perché pensiamo di essere “meno capaci” degli uomini a decidere. Le donne che ce l’hanno fatta hanno imposto un loro stile, diverso da quello maschile. Cercando costantemente condivisione, praticando le doti dell’ascolto e dell’accoglienza, senza farsi mettere i piedi in testa».

Fonte: Ferpi


Judy Gombita, canadese, consulente in relazioni pubbliche a Toronto e collaboratrice del blog PrConversations: “In linea di massima, penso che molte donne debbano solo rimproverare se stesse. Per esempio quando sul posto di lavoro parlano di sé e delle proprie college usando il termine “ragazze” , per riferirsi a delle donne adulte. Sono del parere che il linguaggio dia forma alla consapevolezza, almeno in parte. Ecco perché ogni volta che mi imbatto in qualcuno che mi definisce “ragazza” ho preso l’abitudine di affermare, velocemente e in maniera ferma, che sono una donna adulta, non una ragazza. Se sembro scorbutica, pazienza.


Le ragazze non diventano CEO e nemmeno vice-presidente. […]


Allo stesso modo, in fatto di conferenze ed eventi, particolarmente quelli legati alle relazioni pubbliche, alla comunicazione e ai social media, è necessario che le donne – che generalmente compongono il 50 % o più del pubblico – siano proattive nel pretendere di avere tra gli esperti invitati a parlare almeno altrettante donne quanti sono uomini e gli organizzatori devono impegnarsi per soddisfare queste richieste. Sono stanca della scusa che bisogna invitare i migliori a parlare indipendentemente dal fatto che siano uomini o donne e che non bisogna tenere conto delle quote rose. Perché é una scusa. Se si continua a fare come si è sempre fatto, le cose non cambieranno mai. O, perlomeno, cambieranno per il fatto che io non parteciperò né promuoverò questi eventi.


Recentemente ho avuto una discussione su Twitter con uomo piacevole e ragionevole, che continuava a riferirsi a una sua collaboratrice, che lui definiva in gamba, come di una “ragazza”. Alla fine viene fuori che la “ragazza” era una moglie e madre di famiglia, al che ho dovuto sottolineare che si trattava di una “donna adulta”. Quando mi ha risposto che anche a lui capitava talvolta di essere definito “giovane uomo” gli ho fatto notare che perlomeno il termine usato nei suo confronti era “uomo”, non “ragazzo”.


Fin qui Judy Gombita, a cui risponde Heather Yaxley, consulente e insegnate di relazioni pubbliche presso l’università di Bournemouth, in Gran Bretagna. Come Judy Gombita scrive su PrConversation: “ Judy – è interessante constatare che auspichi sia cambiamenti a livello individuale, personale, sia che sottolinei la necessità di cambiare il sistema. Sono d’accordo con te sul fatto che dobbiamo sia imparare a presentare noi stesse in modo adeguato sia cercare di modificare le cose nel contesto più generale.

All’inizio della mia carriera mi è stato detto che chi si comporta come una ragazzina sarà trattata come tale e il concetto vale per tutte coloro che adottano stili da “pierre coniglietta”. Mi ricordo di aver avuto un grosso problema con una donna membro dello staff (era una responsabile) in un’agenzia dove lavoravo, perché indossava sempre magliette attillate e gonne corte. Non dicevo niente perché mi sembrava di esagerare con le critiche nei suo confronti, ma alla fine è stato lo stesso cliente a chiedere al direttore che questa donna si vestisse in maniera più professionale.


Rifletto sul fatto che in televisione ci sono troppo poche presentatrici e mi chiedo se sia una questione di mancanza di autopromozione. Ho sempre pensato che le donne siano generalmente meno dirette degli uomini nel farsi avanti. Mi ricordo di aver sentito dire che gli uomini tendono a fare domanda per posti di lavoro che sono al di sopra delle loro competenze, mentre le donne fanno domanda per posizioni del loro livello.


Bisogna rifiutarsi di essere definite “ragazze” se si è professioniste qualificate e con ruoli di responsabilità. “


Fonte: PrConversations. Traduzione e rielaborazione dall’inglese dei commenti di Judy Gombita e Heather Yaxley a cura della sottoscritta, per i commenti originali cliccare qui e qui

mercoledì 7 marzo 2012

Come eravamo: le relazioni pubbliche tra gli anni Ottanta e i Novanta

L’archivio storico del Corriere della Sera contiene un articolo del 1993 su come la crisi economica dei primi anni Novanta stesse cambiando il settore delle relazioni pubbliche rispetto ai fasti del decennio precedente. A dispetto degli anni passati l’articolo risulta attuale e vale la pena di rileggerlo. Le problematiche di cui parla sono infatti ancora aperte.
Le “pierre” stile Milano da bere, legate a un’epoca spazzata via da Mani Pulite, con una patina di glamour a coprire la corruzione, esistono ancora. Hanno perso un po’di lustrini ma sotto sotto sono forse peggio. Altrimenti non sentiremmo parlare di pubbliche relazioni a proposito dell’attività di Lele Mora.

All’opposto, la parte sana del settore - rappresentata dalle due associazioni di categoria Ferpi e Assorel - già all’epoca non si stancava di prendere le distanze da quelle che definiva “pierre da discoteca”. Gli intervistati, tutt’ora volti noti delle relazioni pubbliche (la scomparsa di Mariangela Moneta è di solo due anni fa), sottolineavano il lato positivo della crisi, quello di scremare i professionisti seri e preparati, attrezzati per resistere in attesa della ripresa, dai millantatori, dei quali il crollo del mercato avrebbe fatto piazza pulita.

La crisi economica degli anni ’90 era, forse, non paragonabile a quella di adesso (anche se all’epoca i toni erano tutt’altro che ottimisti) però le relazioni pubbliche non solo sono sopravvissute ma hanno prosperato, come gli intervistati avevano previsto. La ricetta per farcela in questi tempi di crisi resta quella, molto semplice, di allora: serietà, professionalità, competenza e lavoro. Sperando che il lato buono della crisi sia nuovamente quello di sradicare un po’ di male erbe, nel frattempo ricresciute.

domenica 4 marzo 2012

Comunicare con il design, un workshop di Ferpi a Expocasa 2012

Torino, Expocasa 2012, salone dell'arredamento presso il centro Fieristico Lingotto: mercoledì 7 marzo ore 18.30 è in programma il workshop Comunicare il design. Comunicare con il design, organizzato da Ferpi (Federazione Relazioni Pubbliche Italiana) delegazione del Piemonte e Valle d'Aosta.
Il workshop è rivolto a designer, progettisti, architetti e aziende, con l'obiettivo di creare un punto di incontro fra i soggetti interessati ad aumentare il valore di una marca tramite la comunicazione.
Per ulteriori informazioni cliccare qui e qui.