lunedì 21 aprile 2008

Comunicare bene per ottenere finanziamenti  

Le piccole e medie aziende hanno una maggiore necessità, rispetto alle grandi imprese, di poter contare su finanziamenti per portare avanti le loro attività. Necessitano di liquidi da spendere per l’innovazione, la ricerca, il rinnovo dei macchinari, la formazione del personale, la competitività sui mercati internazionali.

Eppure le PMI italiane sono risultate il fanalino di coda nell’utilizzo dei finanziamenti tematici comunitari 2002-2006. Lo dice un rapporto del Censis presentato nei giorni scorsi. E non perché non si siano fatte avanti. La realtà è che l’Unione Europea ha accolto solo il 13,1 delle domande presentate. La stragrande maggioranza sono state respinte.

Avevo già sottolineato in un paio di occasioni (qui e qui) l’importanza di una corretta, completa e accattivante comunicazione finanziaria per poter ottenere prestiti dalle banche nell’epoca di Basilea 2.

Ma le fonti di credito non si limitano alle banche e anche i fondi europei possono avere un ruolo rilevante nel permettere di attuare o meno dei piani di sviluppo.

Dato che la commissione giudicante sceglie a chi assegnare i finanziamenti comunitari sulla base della documentazione sottoposta dalle stesse imprese richiedenti, è evidente che esiste un problema di comunicazione. Mancano l’abilità di presentarsi sotto la luce più favorevole e la capacità di far comprendere a fondo l’utilità di ciò che si intende fare con i soldi dell’UE.

Il non poter fruire di quella linfa vitale che per le piccole società è costituita dal finanziamento (talvolta a fondo perduto), si traduce in una pesante penalizzazione, che comporta una perdita di competitività, soprattutto nei confronti delle aziende straniere che, come illustra il rapporto Censis, da questo punto di vista appaiono molto più agguerrite e in grado di accaparrarsi le risorse pubbliche.

E’ necessaria quindi una seria riflessione sul tema della comunicazione aziendale da parte di tutti coloro che in azienda hanno responsabilità.



mercoledì 2 aprile 2008

Chi difende la reputazione di chi difende la reputazione altrui ? 


Per strano che possa sembrare, chi è responsabile della reputazione di un’organizzazione o di un’azienda, si trova spesso (anche se poco volentieri) a doversi preoccupare della propria, di reputazione.

Non mi riferisco semplicemente alla difficoltà di definire il senso di una professione e di spiegare agli altri ciò che facciamo quando ci viene richiesto “e tu di che cosa ti occupi”?

Oltre a ciò, infatti, e i dibattiti sul tema sono all’ordine del giorno – l’ultimo proprio sul sito della neonata community di relatori pubblici Pr Italia - è ancora necessario, nell’epoca del quarto modello sviluppato da Grunig e Hunt nel 1984, dover anche difendere la correttezza e la buona fede di una categoria che viene spesso considerata piena di incompetenti che fanno solo del fumo, quando non di ciarlatani.

“Sono capaci tutti”, è il commento più gentile che si sente certe volte, rivolto a chi lavora nelle relazioni pubbliche.

Ecco invece alcuni comportamenti che, se messi in atto in maniera sistematica, contribuiscono ad aumentare la credibilità di chi lavora per rendere credibile il lavoro altrui:

- essere credibili come persone: dimostrarsi affidabili, rispettare le scadenze, non promettere senza mantenere, essere coerenti nei propri comportamenti.

- essere etici: riconoscersi in un sistema di valori e adottare comportamenti in linea con gli stessi.

- dire la verità (il più possibile).

- quando non è possibile rivelare determinate informazioni richiesteci spiegare perché.

- lavorare con trasparenza ed essere disponibili a rendere conto del proprio operato.

- non accettare posizioni in cui ci si potrebbe trovare in un conflitto di interessi (le probabilità sono maggiori per chi lavora autonomamente).

- evitare atteggiamenti e linguaggio enfatico, frasi a effetto, con iperboli ed esagerazioni, non “spararle grosse”, cioè.

- far derivare i propri atti da un progetto complessivo, a sua volta collegato con gli obiettivi dell’azienda, e verificarne la riuscita sottolineando il contributo della funzione al raggiungimento di tali obiettivi.

- ogni volta che è possibile quantificare in cifre il contributo del proprio lavoro, non perdere l’occasione di farlo e farlo sapere.