martedì 31 gennaio 2017

La comunicazione di crisi come non deve essere fatta

Questo post costituisce la revisione di un post del marzo 2007, che è stato modificato oggi, 31 gennaio 2017, a dieci anni dalla sua pubblicazione, su richiesta di un avvocato. A dire il vero l’avvocato ne chiedeva la rimozione, motivando con il fatto che si tratta di una notizia ormai vecchia e non più utile. Chi legge il post si accorge però che non si tratta del resoconto di un fatto di cronaca, che dopo dieci anni sarebbe sì vecchio e irrilevante, bensì della presentazione di un case study di comunicazione di crisi, in questo caso gestita piuttosto male. E, poiché i protagonisti di questo fatto hanno pensato bene di farmi scrivere dal loro legale con toni molto poco concilianti, a distanza di anni posso affermare che non hanno imparato un bel niente. Il post così modificato non cita i nomi delle persone coinvolte, neanche quello della vittima, a cui per prima si deve rispetto, considerato che si trattava di una persona morta giovane e in circostanze che normalmente non portano alla morte.

E’ mio dovere informare, avendolo io stessa appreso dal legale, che la vicenda giudiziaria si è conclusa con l’archiviazione, nel lontano 2009. Di questa conclusione non avevo trovato all’epoca, né trovo ora, traccia alcuna sul web. Sono quindi giustificata se nel 2009 non avevo aggiunto una postilla.  

Preciso che, a suo tempo, non avevo salvato il comunicato dell’Ansa che riporta la notizia, ma ho screenshottato e salvato altri articoli trovati online sulla vicenda che mi aveva ispirato le considerazioni che trovate nel post (un paio sono di noti quotidiani), per evitare di essere accusata di aver inserito dettagli inaccurati ed errati a scopo diffamatorio.

Preciso inoltre, per chi avesse letto il post all’epoca, e per chiunque, che non ho alcun interesse personale nelle vicende delle persone chiamate in causa per la gestione della comunicazione (né in quella del ragazzo vittima: a lui e alla sua famiglia va la mia completa solidarietà per la tristezza della vicenda umana, comunque si sia conclusa quella giudiziaria). 

A scanso di equivoci, e per i più malfidenti, preciso infine che il post e il suo contenuto sono interamente una mia idea, e non nascono dalla volontà di ledere, né da un input di qualche non meglio identificato concorrente (meglio specificarlo, per chi volesse dar corpo alle ombre).



“Il ragazzo è morto ma non è colpa nostra”

Sembrano esprimere esattamente questo concetto le parole del direttore del centro medico dove Mario (il nome è di fantasia) studente, è entrato in coma a seguito di una operazione di [omissis].Mentre gli accertamenti sono in corso e i carabinieri hanno sequestrato la cartella clinica dello studente, il centro medico in questione si trova ad affrontare una situazione che gli addetti alle relazioni pubbliche definiscono di “Crisis Management”. Cioè una serie di interventi comunicativi per far fronte a una situazione di crisi, in cui, a seguito di un passo falso o di un evento disgraziato, un’organizzazione si trova, con o senza colpa, nell’occhio del ciclone.
“Non capiamo come sia successo” sono state le parole con cui il responsabile del centro ha aperto la conferenza stampa per respingere, di fronte ai giornalisti, le accuse mosse alla struttura. 
Durissime invece, quanto profondamente inadeguate, le parole di uno dei legali del centro medico che hanno affiancato il medico durante l’incontro con i giornalisti. "Procederemo per vie legali - ha detto il legale - contro chiunque tenterà di infangare il nostro assistito". Lo si apprende dal sito internet dell'Ansa (www.ansa.it) in un comunicato in data di oggi.

Ora, che il medico e il legale tentino di salvare il lavoro di anni (il centro, a cui collaborano numerosi stimati professionisti, è stato aperto nel [omissis ] e ha una reputazione di qualità) è totalmente comprensibile ed è anche giusto: finché l’inchiesta non si conclude e le responsabilità non sono state attribuite, è corretto invitare il pubblico a mantenere un atteggiamento di cautela. Tuttavia, nella loro gestione di crisi, ci sono delle stonature.
Primo, non vi era necessità alcuna di far presenziare gli avvocati alla prima conferenza stampa, quella a caldo, dopo il fatto. Mentre è ovvio e naturale rivolgersi fin da subito a dei legali per preparare una linea di difesa in vista dell’inchiesta, non è stato altrettanto di buon gusto farli partecipare all’incontro con i giornalisti. E’ un mettere le mani avanti talmente eccessivo da rendere sospettosi. Soprattutto se l’avvocato, invece di spendere due parole di cordoglio per la tragedia che ha colpito il giovane, si dimostra esclusivamente preoccupato di salvaguardare il buon nome del suo cliente. 
Se si considera che i nominativi del chirurgo, dell’anestesista e del rianimatore interessati sono stati volutamente taciuti, si rischia di alimentare un clima di sospetto che è destinato probabilmente a ottenere l’effetto contrario a quello desiderato. Cioè quello di far pensare a chissà quali mancanze, alimentando pericolosi equivoci. 

Quale sarebbe stato il modo corretto di gestire la comunicazione con i media subito dopo la situazione determinante la crisi ? Bisognava che il direttore del centro medico dichiarasse innanzitutto il suo profondo rincrescimento per quanto è successo al giovane, esprimendo vicinanza alla sua famiglia, e deplorando la tragica fatalità che lo ha colpito. Mostrando cioè di comprendere il lato umano della situazione, anziché apparire esclusivamente e cinicamente preoccupato del buon nome del suo centro. Doveva proseguire dicendo che il personale del centro aveva cercato di fare tutto il possibile per contribuire al buon andamento dell’operazione, assicurando la presenza dei migliori specialisti e delle più adeguate e moderne attrezzature. Doveva quindi concludere proclamando la sua completa disponibilità a collaborare con i titolari dell’inchiesta per far luce sulle cause che hanno fatto sì che un’operazione di routine avesse un epilogo drammatico. 
Comunque vada l’inchiesta, il medico avrebbe dato un segnale di serietà, onestà e, non ultimo in ordine di importanza, considerato che si parla di un centro medico, comprensione e condivisione dell’umana sofferenza. La sua freddezza invece rischia di non essere di aiuto alla ricostruzione di un’immagine positiva della struttura che dirige.