lunedì 6 agosto 2012

I 7 peccati delle relazioni pubbliche: Sesto: confondere relazioni pubbliche e comunicati stampa




Il penultimo peccato della sua serie di 7, che la Crewshaw stigmatizza in un articolo tradotto sul sito Ferpi richiama un modus operandi purtroppo molto diffuso da certe agenzie di comunicazione:

Peccato no. 6: Pensare che Rp sia uguale a comunicato stampa. Una delle cose che mi irrita di più sono i clienti o le aziende che equiparano un programma di relazioni pubbliche a un flusso di notizie ottimizzate per i motori di ricerca pubblicate a pagamento . Non lo è e l’acquirente che opera così si sminuisce. (traduzione mia).

Ci riempie la bocca parlando di SEO per propinare all’ignaro cliente, che spesso di relazioni pubbliche non sa molto e di SEO ancora meno, l’idea (ovviamente presentata come “innovativa”) di sfornare una serie di comunicati stampa zeppi di parole chiave in modo che Google li spari ai primi posti. Pazienza se il contenuto non ne è all’altezza.

Ora, se le tecniche SEO sono utili, e spesso indispensabili per talune realtà (pensiamo ai negozi online che vendono tutti le stesse cose e che hanno come unica possibilità per battere la concorrenza quella di farsi trovare prima dall’acquirente), nelle relazioni pubbliche le cose cambiano un po’.

Dato che stiamo parlando di comunicato stampa e non di annuncio pubblicitario, si suppone che in questo caso non si debba vendere (direttamente). Il comunicato stampa serve – lo dice il suo nome –per comunicare qualcosa. A qualcuno. Il “qualcuno” non è“tutti”, è un interlocutore selezionato, che trova l’informazione non perché è al primo posto nei motori di ricerca, ma perché gli è stata inviata lì dove lui si trova. Che significa, semplicemente, utilizzare i canali (portali, siti, blog, ecc.) che l’interlocutore legge. In questo modo le informazioni da comunicare arriveranno a destinazione, anziché perdersi tra tanti articoli tutti uguali e tutti a turno in cima ai motori, ma che nessuno legge perché inviati a casaccio.






venerdì 3 agosto 2012

Il quinto peccato delle relazioni pubbliche: abusare del peso pubblicitario




Quinto post per la serieI 7 peccati delle relazioni pubbliche” tratto dall’articolo di Dorothy Crenshaw pubblicato su PrDaily e tradotto da Ferpi per il proprio sito.

Peccato no 5: Usare (o abusare) del peso pubblicitario. La maggior parte dei professionisti ha un aneddoto su un cliente che insiste nel cercare di sfruttare l’acquisto di spazi pubblicitari per generare una copertura editoriale, o che minaccia di ritirare una pianificazione se il pezzo non è almeno positivo. La verità è che questo può funzionare, ma raramente vale il costo in termini di relazione. Ed è noto che spesso questa modalità di azione finisce col ritorcersi contro chi la mette in atto.
(traduzione Ferpi)

Qui c'è più di un peccatore, e una parte di “colpa” ricade sulle spalle dei media che offrono la possibilità di pubblicare notizie gratuite alle aziende che acquistano spazi pubblicitari. E’ il caso delle riviste di settore, che hanno un pubblico molto selezionato, composto dagli operatori professionali legati al settore di riferimento. Le pagine di queste riviste si caratterizzano per alcuni articoli ad alto contenuto tecnico, scritti da giornalisti competenti nella materia e da una serie nutrita di contenuti forniti dalle aziende inserzioniste. Alcuni sono validi e interessanti per chi è nel campo, altri sono a sfondo più divulgativo ma comunque possono essere utili per qualcuno. Dato il taglio chiaramente professionale di queste pubblicazioni e la tiratura limitata, non c’è proprio niente da scandalizzarsi se la possibilità di pubblicare articoli è offerta dietro l'acquisto di spazi pubblicitari. L’unico modo per queste pubblicazioni, che comunque sono utili per una categoria di persone, è quella di alimentarsi vendendo spazi pubblicitari e publi-redazionali. E' una regola del settore, punto. Chi legge e scrive su queste riviste la conosce e la accetta.

Il peccato sarebbe piuttosto limitarsi ad acquistare spazi pubblicitari o a pubblicare redazionali senza sfruttare adeguatamente – in termini di comunicazione – la ricaduta che la pubblicità genera.

Per sapere come farlo, segnalo i seguenti post, che approfondiscono l’argomento e propongono soluzioni concrete.