Si è chiusa anzitempo (doveva scadere nel 2015) la collaborazione tra la società calcistica bianconera e l’azienda petrolifera Tamoil, il cui marchio compare attualmente sulle maglie dei giocatori.
Tamoil ha chiesto la rescissione del contratto di sponsorizzazione a seguito della retrocessione in serie B della squadra, avvalendosi di una clausola che lo consentiva.
Si interrompe così, prematuramente, un contratto che, nei dieci anni di validità previsti, doveva portare nelle casse juventine qualcosa come 240 milioni di euro. Per chi non avesse idea, specifichiamo che i contratti di Inter e Milan si aggirano intorno ai 10 milioni di euro a stagione.
Il marchio della Tamoil resterà sulle maglie della Juve fino alla conclusione del campionato in corso, poi scomparirà.
L’operazione, perfettamente corretta da un punto di vista formale e contrattuale, non appare tuttavia altrettanto azzeccata nella sostanza.
D’accordo che la Juve gioca quest’anno in serie B, ma c’erano almeno due motivi per cui la Tamoil avrebbe comunque avuto convenienza a continuare la collaborazione.
Il primo è che nessuno ha mai pensato che la Juve restasse in B per più di una stagione. Tanto è vero che, dopo un avvio non particolarmente brillante, la squadra ha infilato un successo dopo l’altro, divorandosi in un batter d’occhio i punti della pesantissima penalizzazione fino a raggiungere, prima della metà del campionato, la vetta della classifica.
Il secondo, che forse conta anche più del primo, è che il prestigio della società bianconera non appare intaccato più di tanto dal fatto di giocare in B, caso mai è la serie cadetta che ha tratto vantaggio da una presenza di tal sorta.
Quella che invece rischia di uscire piuttosto appannata da questa vicenda è l’immagine della Tamoil, che appare fiscale e poco sportiva, ben lontana dalla classe della vecchia signora. Un autogoal, insomma.
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