Questo post nasce dalle riflessioni che seguono la lettura di Gli ultimi vagiti delle PR “blindate”, di Conversational, troppo lunghe per far parte di un commento.
Non è possibile creare un ambiente sterile intorno a un’azienda, l’azienda è inserita in una rete di rapporti, è un organismo vivo immerso nella realtà, e il continuo flusso di interrelazioni in uscita e in entrata impedisce il controllo totale sulla comunicazione.
Un’azienda non è una pièce teatrale in cui gli attori imparano esattamente le parole, i gesti, i movimenti che dovranno dire e fare sul palcoscenico e li riproducono ogni volta uguali (ma anche qui c’è un certo grado di improvvisazione, anche se lo spettatore non se ne accorge).
Il modo di lavorare è troppo rapido, e talvolta convulso, per permettere un perfetto autocontrollo e una autocensura da parte degli attori in questione, dall’operaio all’amministratore delegato e soprattutto da parte di tutte quelle figure intermedie che incessantemente colloquiano con gli interlocutori, come chi fa gli acquisti, le vendite, il post-vendita.
Le rp non erano blindate neppure prima dell’avvento del web 2-0 e dei social network, solo che se ne aveva l’illusione: i giornalisti pubblicavano i comunicati stampa come glieli spedivamo, i clienti leggevano le caratteristiche dei prodotti che scrivevamo sui depliant e solo quelle, ecc.
Ma nessuno poteva impedire a qualcuno di sconsigliare all’amico di acquistare un prodotto perché lui non si era trovato bene e l’azienda gli aveva negato l’assistenza necessaria a risolvere il suo problema. Il passaparola c’è sempre stato, solo che viaggiava a voce, che fosse di persona o per telefono (e prima ancora per lettera !).
Adesso ce ne siamo accorti perché il fenomeno è stato amplificato all’ennesima potenza dalla rete, che ci ha strappato – bruscamente – i paraocchi e abbiamo finalmente realizzato che siamo vulnerabili.
La signora vittima dell’episodio del Carrefour che ha fatto il giro del web si sarebbe lamentata lo stesso, con il marito, le amiche, i vicini di casa e magari loro avrebbero deciso di fare spese in un altro supermercato, per solidarietà nei suoi confronti. Certo il danno sarebbe stato molto più limitato, ma l’immagine del colosso francese avrebbe comunque ricevuto una scalfittura.
Ci sono casi però in cui il passaparola ha un peso maggiore. Per una concessionaria di automobili perdere un potenziale cliente da 20.000, 30.000, 40.000 euro perché l’amico non ha avuto un servizio soddisfacente è un danno molto più rilevante.
Ci voleva però la doccia fredda del web, con i blog e i social network in cui si può parlare male di noi, perché ci pensassimo. E’ la cassa di risonanza che amplifica le conseguenze di un fenomeno sempre esistito.
Cosa può fare dunque un’azienda ? Le regole le sappiamo ma giova ricordarle ancora:
1) comunicare in maniera chiara, completa, trasparente.
2) comunicare a due vie e non a senso unico, cioè l’interlocutore deve poter rispondere e dire la sua, possibilmente si deve tener conto di quello che dice.
3) stabilire una policy che regoli la comunicazione, concetto espresso da Conversational, che io sottoscrivo pienamente.
4) modificare i comportamenti in modo da renderli coerenti con quello che si dice.
5) per riassumere: coerenza e trasparenza sono le nuove parole d’ordine.
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