Qualche settimana fa il sito della Ferpi riportava le riflessioni di Toni Muzi Falconi (con relativo dibattito) scaturite da un articolo del New York Times sulle rivelazioni di una pierre ex dipendente del gruppo Edelman. A questa era seguita una piccata risposta dello stesso Richard Edelman.
Si parlava del ruolo del relatore pubblico e delle difficoltà che le relazioni pubbliche continuano a incontrare per stabilire una reputazione di un certo tipo, nonostante l’impegno e i risultati degli addetti ai lavori. Difficoltà che secondo alcuni sono accresciute da un uso della professione sullo stile "pranzi e ricevimenti".
Tutto ciò mi ha fatto pensare ai dibattiti sulla posizione delle donne nel mondo del lavoro. Credo si possa fare un parallelo.
Le donne hanno sempre lavorato e anche le relazioni pubbliche sono sempre esistite: braccianti agricole e domestiche lavoravano già dalla notte dei tempi, molto prima che le donne, qualche decennio fa, facessero il loro ingresso numerose nel mondo del lavoro in posizioni di livello medio (impiegatizio).
Parimenti le relazioni pubbliche esistono da epoche lontane in cui, come le contadine e le sguattere a servizio, occupavano una posizione defilata, non codificata. C’erano, ma non venivano nominate, e quindi, come tutto quello che non ha un nome, non vivevano di esistenza propria.
Poi le relazioni pubbliche hanno avuto una nascita ufficiale e una loro istituzionalizzazione, un po' come il lavoro femminile, che dopo il 1968, con l’avvento massiccio dei movimenti femministi, è entrato a far parte della realtà comune.
Per la funzione relazioni pubbliche e per le donne nel mondo del lavoro è cominciata una strada in salita, nel tentativo di veder riconosciute le proprie competenze e il proprio contributo nel determinare i profitti.
Come le donne, anche le relazioni pubbliche hanno a che fare con un soffitto di cristallo e tanta strada ancora da percorrere per raggiungere una vera parità con le altre funzioni aziendali.
Anche per le relazioni pubbliche non esistono ricette miracolose o scorciatoie che cambino il panorama da un giorno all’altro. Il dibattito senz’altro aiuta, perché crea consapevolezza, fa circolare informazioni, crea un network di professionisti e aiuta a restare focalizzati sull’obiettivo.
A quest’ultimo ci si avvicina lavorando con competenza, aumentando e aggiornando le proprie conoscenze, dimostrando che anche le errepì creano ROI. Credo però che saranno le future generazioni di relatori pubblici a raccoglierne compiutamente i frutti.
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